Una piaga che sta distruggendo lentamente il tessuto economico della nostra Isola. L’indagine della Cgia: sono circa 300 mila e incidono per il 18,5% del totale del mercato
PALERMO – Il lavoro nero in Sicilia continua ad essere una piaga che distrugge il tessuto economico della regione. I dati Istat, elaborati dall’ufficio studi della Cgia, dicono che nell’Isola sono 280.200 gli occupati non regolari, con un tasso di irregolarità del 18,5%. Il valore aggiunto da lavoro irregolare sul totale del valore aggiunto dell’economia si concretizza soltanto nel territorio siciliano in quasi 6 miliardi di euro, rappresentando, di fatto, il 7,4% del valore totale prodotto in Sicilia.
L’isola si pone ben al di sopra della media di irregolarità nazionale, che si ferma al 12,6%. Nonostante i ben oltre 3 milioni di lavoratori in nero in totale in tutto il territorio nazionale, questi rappresentano il 4,8% del valore aggiunto da lavoro irregolare sul totale del valore aggiunto dell’economia. Peggio della Sicilia, soltanto la Campania, in cui gli occupati non regolari sono 352.700, rappresentando il 18,7% del totale dei lavoratori, e la Calabria, con 131.700 lavoratori in nero, pari al 21.5% di tasso di irregolarità. Le regioni che segnano i valori minori, ovviamente in proporzione al valore aggiunto dell’economia, sono il Veneto, con 203.200 lavoratori irregolari e l’8,8% di irregolarità sul totale, e la Lombardia, che sale al 10% con 489.500 occupati non regolari, ma che rappresentano in percentuale rispettivamente il 3,5 e il 3,6 del valore aggiunto totale.
Se si guarda alle macroaree, è evidente come il lavoro nero imperversi nel Mezzogiorno, in cui il tasso di irregolarità sale al 17, 5%, e 1.202.400 lavoratori in nero, mentre nel Nord Est si scende al 9,2% con “soli” 515.700 lavoratori sommersi.
I freddi numeri non riescono a disegnare in pieno la gravità della situazione. Scrivono dalla Cgia: “In alcuni settori – come l’agroalimentare, i trasporti, le costruzioni, la logistica e i servizi di cura – lo sfruttamento praticato, in particolar modo, dalle organizzazioni criminali che, con la crisi, hanno diffuso i loro interessi nell’economia reale del Paese, è sempre più spesso ‘affiancato’ da violenze, minacce e sequestro dei documenti”.
In larga parte, le vittime sono cittadini stranieri presenti irregolarmente in Italia, ma sono sempre più numerosi anche gli italiani. Le difficoltà economiche di questi ultimi 2 anni e mezzo, infatti, hanno aumentato il numero degli italiani in condizione di vulnerabilità. Ciò non toglie che “una parte, ancorché minoritaria – dicono dall’associazione dei lavoratori – di chi lavora irregolarmente è costituita da persone molto ‘intraprendenti’, che ogni giorno si recano nelle abitazioni degli italiani a fare piccoli lavori di riparazione, di manutenzione o nel prestare servizi alla persona”.
Un esercito di “invisibili” che, attrezzati di tutto punto, si spostano in maniera del tutto autonoma e indipendente, provocando danni economici importanti a chi esercita la professione regolarmente. Si tratta, infatti, di un cane che si morde la coda: in agricoltura e nei servizi alla persona, ad esempio, la presenza del “nero” contribuisce a mantenere basse le retribuzioni previste dai contratti sottoscritti dalle parti sociali di questi settori, altrimenti molte aziende, che con il sommerso non vogliono avere nulla a che fare, innalzando troppo i minimi salariali sarebbero spinte fuori mercato. Tutto questo perché la concorrenza sleale praticata dalle realtà che fanno un massiccio ricorso a lavoratori irregolari è fortissima. Un aiuto contro la lotta al sommerso dovrebbe arrivare dalla pubblicazione, prevista entro la fine dell’anno, di un piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso che, tra le altre cose, dovrà rafforzare le misure di deterrenza del lavoro nero, attraverso il rafforzamento anche delle ispezioni e delle sanzioni. Il primo passo, l’assunzione nell’organico dell’ispettorato nazionale del lavoro di 2 mila nuovi ispettori.
Grazie all’aumento del personale, entro la fine del 2024 il numero dei controlli dovrà aumentare del 20 per cento rispetto alla media del triennio 2019-2021. Entro il 2026, infine, il piano prevede di ridurre di almeno 1/3 la distanza che separa il dato italiano da quello medio Ue nell’incidenza del lavoro sommerso nell’economia.