Una balla colossale che circola da qualche mese fra settore sindacale, partiti e giornalisti/e poco informati/e, riguarda quello che è stato denominato “lavoro povero”. Più precisamente, riguarda quei rapporti nei quali il compenso è al di sotto dei nove euro lordi l’ora.
Ricordiamo che l’ottanta e più per cento dei Contratti collettivi nazionali di lavoro, di cui ve ne sono mille iscritti al Cnel, prevede salari superiori a tale soglia.
È vero che vi sono dipendenti pagati a sette, otto euro e forse anche meno, ma si tratta di categorie residuali e marginali, che tuttavia non dovrebbero esserci perché è giusto un equo compenso per tutti coloro che lavorano.
Ricordiamo, però, che il dipendente, oltre alla somma netta in busta paga, riceve altre mensilità (tredicesima, quattordicesima, quindicesima) e una sedicesima mensilità che viene accantonata e liquidata alla fine del rapporto di lavoro.
Di tutto ciò quasi nessuno parla, nascondendo ai/alle cittadini/e informazioni importanti che cambiano lo scenario.
Vi è un’altra balla colossale che chi fa informazione trasferisce ingenuamente senza controllo e riguarda la stretta correlazione che c’è fra la qualità del lavoro e la sua remunerazione.
Sui mercati delle economie avanzate, compresa quella italiana, chi ha competenze, chi sa fare, chi è capace di risolvere i problemi, non solo trova immediato lavoro nel mondo delle imprese di produzione, di quelle dei servizi e di altre, ma di più detta le proprie condizioni, fra cui anche il compenso.
Non vi è datore di lavoro che si lasci sfuggire un/a bravo/a collaboratore/trice, anche pagandolo/a di più dei Ccnl, perché esso/a contribuisce al buon funzionamento dell’impresa e quindi a formare ricchezza, per cui non si discute il compenso che si deve dare a chi è bravo/a.
Potremmo chiudere qua le osservazioni sulla materia oggi in rassegna perché è nei fatti smentita la questione che esista il “lavoro povero”, cioè pagato poco, delle persone competenti. Vi è infatti una stretta correlazione fra competenze e remunerazione.
In queste torride giornate estive è quasi noioso doversi occupare della delicata materia prospettata. Ma si sa che i primi a non essere competenti sono i parlamentari, fra cui moltissimi ex disoccupati che non hanno mai fatto nulla di produttivo, per cui diventano produttori di parole non corrispondenti alla realtà, ma che hanno solo lo scopo di attrarre consensi.
Consensi di chi? Di altre persone che non pensano con la propria testa ma con quella degli altri, e che prendono informazioni per buone quando non lo sono affatto e ripetono a pappagallo le stesse parole o le stesse frasi senza averne alcuna cognizione.
In sostanza, stiamo parlando di tutti/e quelli/e che, non avendo competenze di qualunque genere, parlano a vanvera, tanto essi/e stessi/e non capiscono quello che dicono, figuriamoci coloro che ascoltano.
La questione ci conduce direttamente al tema di fondo e cioé alla vasta ignoranza diffusa che impedisce alla gente di comprendere la realtà.
Quale realtà? Quella dei fatti, degli accadimenti, delle cose concrete, non quella delle invenzioni, delle supposizioni e di quel modo comune di dare fiato alla bocca.
Insomma, ci vorrebbe rigore e buonsenso in coloro che parlano al Popolo attraverso radio e televisioni e soprattutto di quegli/quelle altri/e che scrivono sui siti boiate colossali.
Per questi/e ultimi/e, non vi sono sanzioni, salvo ovviamente che essi/e violino il codice penale.
Ed è proprio questo modo di comunicare senza capo né coda, senza avere controllato le cose che si scrivono, senza verificare nei libri di storia gli accadimenti, che costituisce uno dei peggiori fatti che stanno accadendo nei nostri tempi.
La diffusione del web è un fatto certamente positivo – l’abbiamo scritto più volte – ma il suo abuso è l’altra faccia della medaglia, che, invece, è fortemente negativa.
Si può fare qualcosa per cambiare quanto precede? Non ci sembra allo stato attuale. Ma siamo comunque ottimisti/e.

