Le altre vittime della pandemia, i malati dimenticati dal Sistema sanitario regionale - QdS

Le altre vittime della pandemia, i malati dimenticati dal Sistema sanitario regionale

redazione

Le altre vittime della pandemia, i malati dimenticati dal Sistema sanitario regionale

venerdì 11 Dicembre 2020

In Sicilia si profila il rischio che molte Unità di terapia intensiva cardiologica vengano convertite in raparti Covid, con effetti disastrosi sul trattamento anche in urgenza dei pazienti cardiopatici

L’attuale pandemia Covid-19 ha avuto e sta continuando ad avere un impatto straordinariamente negativo sulla salute pubblica e sull’efficienza delle strutture sanitarie pubbliche di tutta Italia. L’eccezionale quantità di questi malati, unita all’impreparazione del nostro sistema sanitario nazionale ad affrontare una catastrofe di tali proporzioni, ha costretto a rivedere i modelli organizzativi della Medicina ospedaliera e territoriale.

Solo in rari casi sono stati istituiti posti letto dedicati e di nuova istituzione, piuttosto un po’ ovunque si è assistito alla dilagante tendenza alla semplice conversione in Reparti Covid di varie unità operative ospedaliere fino a ieri deputate a trattare altre tipologie di malati.

Questa tendenza, per certi versi giustificabile nella prima fase pandemica giunta come un fulmine a ciel sereno e legittimata dall’immediata necessità di reperire nuovi posti letto per i pazienti Covid, risulta assai meno comprensibile oggi, nel pieno di una seconda ondata ampiamente prevedibile e arrivata a distanza di diversi mesi dall’inizio della pandemia.
La mancanza di programmazione sia degli anni precedenti ma proseguita anche in tempi più recenti ha fatto sì che consolidasse tale propensione alla trasformazione dei posti letto, finendo per coinvolgere non solo i reparti ospedalieri di degenza ordinaria, ma anche le unità operative che gestiscono le urgenze/emergenze mediche. È il caso delle Unità di Terapia Intensiva Cardiologica (UTIC), deputate al trattamento delle emergenze cardiologiche.

In Sicilia, come in larga misura nel resto del Paese, si profila il rischio che molte Utic vengano convertite in reparti Covid, con effetti disastrosi sul trattamento anche in urgenza dei pazienti cardiopatici. Infatti, la sopravvivenza dei pazienti colpiti da infarto è strettamente tempo dipendente, nel senso che qualsiasi ritardo o inefficienza nei sistemi di intervento terapeutico comporta un proporzionale aumento della loro mortalità. Per questo in Sicilia, come in altre regioni, è stata da tempo istituita la Rete dell’Infarto, cioè una complessa macchina organizzativa sanitaria che assicura un rapido e capillare il trattamento dei cardiopatici acuti e di cui le Utic costituiscono l’anello fondamentale.

Lo smantellamento delle Utic siciliane e la loro conversione a Reparti Covid comporterebbe una compromissione della Rete dell’Infarto, e i pazienti cardiopatici, non potendo accedere alle cure necessarie nei tempi minori possibile, vedrebbero aumentare la propria mortalità. È il caso di ricordare che ciò è già accaduto in occasione della prima ondata pandemica di qualche mese fa, allorché i decessi per malattie cardiache si sono pressoché triplicati proprio a causa del mancato o ritardato ricorso alle cure cardiologiche intensive. Non c’è alcuna logica in provvedimenti organizzativi che da una parte limitano la mortalità dei pazienti Covid, ma contemporaneamente dall’altra incrementano i decessi dei cardiopatici. Se c’è necessità di convertire in reparti Covid alcune unità operative ospedaliere, queste non vanno certo ricercate tra i reparti di emergenza come le Utic. A tutto ciò si aggiunga l’inevitabile e prevedibile disorientamento del personale sanitario delle Utic, costretto ad abbandonare i malati di propria pertinenza per dedicarsi dall’oggi al domani, con risultati a dir poco approssimativi, alla cura dei pazienti e patologie mai trattati prima.

È di questi giorni la notizia di due pazienti con dissecazione aortica che a Palermo non hanno trovato accoglienza in alcuna struttura in grado di trattare tempestivamente la grave patologia da cui erano stati improvvisamente colpiti. Se nel primo caso si è riusciti a risolvere in extremis grazie al trasporto in elisoccorso a Catania per l’intervento cardiochirurgico di emergenza, nel secondo caso non c’è stato purtroppo il tempo di predisporre il trasferimento ad altra sede ed intervenire a causa del repentino precipitare della sintomatologia che ha condotto al decesso il paziente. Episodi che, al di là di ritardi e responsabilità, rappresentano un chiaro campanello d’allarme e non devono farci dimenticare che ancora nessuno è in grado di dire fino a quando la pandemia continuerà a condizionare le nostre vite e, stanti le inefficienze di un sistema sanitario regionale impreparato, la sua capacità di prendersi cura dei pazienti non Covid con gravi patologie tempo dipendenti.

Sarebbero stati auspicabili, dopo la primissima fase della pandemia, un equilibrio e una lungimiranza da parte del decisore pubblico che tuttavia, alla prova dei fatti, non sono finora emerse. È indispensabile per la salvaguardia della salute e della vita di tantissimi nostri concittadini che d’ora in avanti venga adottata una differente strategia, in grado di tutelare non soltanto la salute dei pazienti affetti da Covid, ma anche quella di tutti gli altri pazienti siciliani che necessitano di misure terapeutiche urgenti, magari ricorrendo ad una più efficace sinergia pubblico-privato in grado di sopperire nel medio periodo alle tantissime défaillance del nostro sistema sanitario regionale. Altrimenti alla fine il bollettino dei decessi dovrà essere aggiornato andando a contare le vittime da danni collaterali che rischiano di diventare un numero importante se non si interviene subito.

Riccardo Spampinato
Segretario organizzativo nazionale Cimo

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