Non sembri strano che vi forniamo l’altra informazione relativa alla guerra israelo-palestinese. Vogliamo evidenziare obiettive responsabilità che, come sempre, non sono mai di una sola parte.
L’eccidio compiuto e in corso da parte di Israele è fuori discussione; la reazione all’attacco del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas è enorme e parzialmente giustificata. Essa è sicuramente sproporzionata rispetto all’attacco medesimo, ecco perché bisogna ricercarne le cause in un processo storico che dura dal 1948, quando le potenze occidentali consentirono al popolo ebraico di ritornare sul proprio territorio, con la guida del non dimenticato David Ben-Gurion.
Da quel momento Israele è stato sempre accerchiato da tutte le parti, da coloro che lo volevano cancellare dalla mappa geografica. Quindi, in sessantasette anni, si sono accumulati rancori e odi, che, stratificandosi, hanno fatto diventare Israele l’obiettivo di quelli che lo circondano.
Due presidenti americani, Jimmy Carter e Bill Clinton, hanno tentato di attuare la saggia regola di “due Stati, due Popoli”: quello palestinese e quello israeliano. Ma gli accordi presi nelle due riunioni, di Camp David del 1978 e di Oslo del 1993, non si sono tramutati in realtà.
Quali sono le cause di una situazione che è diventata progressivamente gravissima ed è sfociata nelle vicende prima descritte? Probabilmente l’incapacità del Popolo palestinese di darsi una classe dirigente capace di organizzare quella comunità per farla diventare Stato.
Abu Mazen – che si autoproclama presidente della Palestina e dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina e dell’Autorità nazionale Palestinese – non ha avuto l’autorevolezza, né la forza di guidare quel Popolo per una sua crescita istituzionale, economica e sociale.
Un’altra causa dello stato di decozione del Popolo palestinese è la presenza di quel gruppo di terroristi, quali sono i componenti di Hamas, che non avevano alcuna voglia di fare trasformare quel Popolo in Stato, ma solo l’idea fissa di distruggere Israele.
Il risultato di quanto descritto è che due milioni di palestinesi della Striscia di Gaza sono rimasti poveri, disorganizzati, senza istituzioni, prigionieri di Hamas e vittime di uno sterminio.
Ogni Popolo ha il suo destino. Si vede che quello dei palestinesi è diventare succubi di Israele, che probabilmente sta realizzando un progetto di cui non aveva mai parlato né fatto cenno all’opinione pubblica mondiale: annettere la Striscia di Gaza.
Quegli stupidi terroristi di Hamas gli hanno offerto l’occasione ed è così che la conquista di quel territorio, immobile per immobile, strada per strada, di fatto sta portando al predominio di Israele su di esso e allo sradicamento dai cunicoli e sotterranei dei terroristi.
Quanto descritto è una fotografia. Non stiamo opinando che sia bene o male, perché nel futuro gli storici emetteranno la loro valutazione. Ma allo stato dei fatti, guardando lo scenario con realismo, è probabile che la rinascita del Popolo palestinese passi attraverso questa ecatombe: eliminando i terroristi di Hamas, la Palestina potrà forse intraprendere un percorso di crescita, a condizione di sottomettersi alle regole di Israele.
Quella che è sembrata una boutade di Trump, “Riviera-Gaza”, è possibile che sia il vecchio progetto di Israele. Queste osservazioni non nascono per caso né sono frutto di improvvisazione; sembrano gettate nella comunicazione internazionale come meteoriti, ma dietro vi è sicuramente qualche forma di elaborazione.
Se questo progetto andasse avanti, sorgeranno le obiezioni sui diritti politici, economici e sulla stessa libertà del Popolo palestinese. Tutto vero. Ma di fronte alla situazione disastrosa in cui esso si trova, il primo obiettivo è quello di ricostruire la Comunità.
Quel Popolo, dato il suo stato di povertà, senza infrastrutture, devastato dalla guerra, senza mezzi economici e senza professionalità, non è in condizione di fare molto. Quindi potrebbe essere necessario questo primo passaggio per ricostruire quella Comunità e pensare successivamente a ricostruire anche le libertà istituzionali, economiche e sociali.

