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Le responsabilità del management

Le responsabilità del management
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Tra i grandi tradimenti nei confronti della società contemporanea c’è quello del management dei grandi gruppi economici

Tra i grandi tradimenti nei confronti della società contemporanea c’è quello del management dei grandi gruppi economici, la classe dei Ceo, che è diventata sempre più potente e irresponsabile. Il riferimento è di carattere internazionale, con particolare riferimento agli Usa dove questa malattia, a partire dagli anni Ottanta del Novecento, è diventata via via più grave.

Con il termine management mi riferisco sia ai manager professionali che agli azionisti di riferimento che ai consigli di amministrazione. Negli ultimi decenni ha preso corpo un paectum sceleris tra questi organi che ha perseguito l’obiettivo di piegare le esigenze delle imprese alle politiche di appropriazione e arricchimento degli azionisti e non più al bene dell’impresa. Questo patto non poteva funzionare senza la complicità di manager professionali e dei consigli d’amministrazione. Da qui i compensi abnormi degli uni e degli altri, per “comprare” le loro capacità. È una questione complessa ma qui posso citare me stesso perché sono stato uno dei primi a denunciare il pericolo di questa deriva come scrivevo nel mio libro: “America. Punto e a capo. Una lettura non conformista dei mercati mobiliari” (Libri Scheiwiller, 2002).

A pag. 13 del citato libro scrivevo de “La nuova ‘aristocrazia industriale’”: “Negli ultimi vent’anni si è creato uno squilibrio politico e sociale a favore del top management delle grandi società che ha permesso allo stesso di appropriarsi di corrispettivi che non hanno più alcuna relazione di alcun tipo con le prestazioni fornite, con i risultati raggiunti, con il loro tipo di attività, con l’andamento reale delle aziende. Questi valori non rappresentano più un corrispettivo per dei servizi professionali, ma un’appropriazione basata su una incontrollata posizione di potere. Come i nobili delle antiche aristocrazie, essi si appropriano di quello che reputano di potere e di dovere prendere, una volta assicurata ai cittadini una discreta sopravvivenza. È stato osservato che ciò non è vero per tutti, e ognuno è in grado di portare qualche esempio che proverebbe il contrario. Ma qui il discorso non è sui casi singoli, ma su una tendenza dominante e che tocca cifre importanti, come dirò. In una relazione del 1998 (ora in Sviluppo e Spirito d’Impresa, Edizioni Il Veltro, 2001) affermavo: ‘Nel frattempo nella grande impresa è avvenuta, negli ultimi venti anni, una nuova grande rivoluzione. Spariti i robber barons, spariti i tycoons, spariti i grandi imprenditori alla Ford, spariti i grandi manager alla Watson, se non per pochi casi che fanno più folklore che sistema, il potere di questo settore determinante della vita economica è stato, lentamente ma tenacemente, scalato da una nuova classe, fatta per lo più di volti anonimi, che si è autopromossa a nuova aristocrazia, che con le antiche aristocrazie ha delle analogie ma anche molte differenze. L’elemento comune principale è che essa preleva un surplus che non ha più alcuna relazione con i servizi resi, ma che deriva solo da una posizione di potere occupato. I compensi e le forme partecipative prelevati dal big management del big business sono diventati di natura e proporzione tali da non potere più, in nessun modo, essere ricondotti a un corrispettivo per un qualsiasi lavoro professionale direttivo. Essi sono un prelievo e non più un corrispettivo. E la loro legittimazione è basata su una posizione di potere raggiunta, posizione di potere sottoposta a ben pochi controlli o bilanciamenti, dopo che la proprietà alla quale competeva principalmente tale funzione si è dispersa ed è praticamente sparita’”.