L'economia dell'identità - QdS

L’economia dell’identità

L’economia dell’identità

Giovanni Pizzo  |
mercoledì 14 Dicembre 2022

Per affrontare la crisi avviata dall'assetto pandemia-guerra, è necessario che l'economia torni ad avere una dimensione sociale: il commento.

L’economia o è sociale o non è. Se non serve, se non è utile, a un territorio, a persone a valori condivisi diventa fenomeno di crisi. Questo è il limite della globalizzazione e il tema del convegno di Legacoop, alla presenza del presidente nazionale Mario Lusetti e di quello regionale Filippo Parrino, oggi all’istituto di Agraria dell’Università di Palermo.

Lo stesso Adam Smith, padre fondatore dell’economia in senso filosofico, incentrava il modello sulla circolazione della ricchezza. Quando la finanza si accumula in sacche concentrate, in contenitori oligopolistici, in rendite di posizione, diventa statica e perde la dinamicità del flusso.

Infatti lo studio dell’economia era nato, sia in senso capitalistico che collettivista, come branca della filosofia, come strumento utile alla vita degli esseri umani. Quando il modello finanziario, soprattutto nella finanza derivata, si allontana dalla società reale si creano crisi economiche sociali. Perché si interrompe la catena del valore aggiunto, il funzionamento del ciclo capitale, innovazione, lavoro.

La crisi mondiale del combinato disposto guerra-pandemia ci ha fatto toccare con mano, a tutti i cittadini per una volta comunità mondiale della crisi, i problemi di un’economia non orientata al bene comune. Se non si recupera una dimensione sociale dell’economia, e la cooperazione, soprattutto in Italia, è strumento basico e fondante, previsto non a caso in Costituzione, le disuguaglianze aumenteranno oltre ogni limite mai raggiunto in altre epoche storiche. Oggi alcune multinazionali, ed Elon Musk ce lo rammenta continuamente, hanno bilanci superiori a antichi e importanti Stati, e questo ovviamente mette le classi dirigenti in una ballata sull’orlo del caos.

La dimensione esclusivamente finanziaria, scollata da valori conosciuti, da storie stratificate, da sentiment popolari, come per esempio i mondiali di calcio in Qatar, un business da 220 mld di dollari, poi genera il corto circuito istituzioni politiche e gruppi di interesse economici, perché il Qatar è fondamentalmente questo, non avendo una storia secolare alle spalle. Di fatto il Qatar è una multinazionale.

Se vogliamo continuare, come Paese soprattutto, ad avere uno sviluppo sostenibile in cui l’uomo, le persone, le comunità siano centrali dobbiamo attivare e difendere, sviluppare ancora più di prima la dimensione collettiva delle imprese. Il movimento cooperativo, la capacità di aggregazione, che può sconfiggere l’inutilità sociale dell’individualismo, in particolare nella società siciliana, può diventare strumento di crescita diffusa, di spirito emulativo possibile, di crescita dei territori. Lo spirito con cui si gestisce un’impresa, come dice l’emerito professor Vittorio Coda, è il fondamento sano della crescita e dello sviluppo, in un modello circolare che compensi i modelli gerarchici in cui i vantaggi sono solo per pochi. E in cui le comunità perdono identità e beni comuni.

Così è se vi pare.

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