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“L’inquinamento è diffuso e strutturale, vanno incrementate le aree marine protette”

“L’inquinamento è diffuso e strutturale, vanno incrementate le aree marine protette”
Il presidente di Legambiente Sicilia, Tommaso Castronovo

Il presidente di Legambiente Sicilia, Tommaso Castronovo, indica le soluzioni per preservare l’ambiente marino

Al QdS interviene il presidente di Legambiente Sicilia, Tommaso Castronovo.

Presidente, il mare siciliano non è in buone condizioni di salute. Pesca a strascico e inquinanti continuano ad essere tra i fenomeni più persistenti e incisivi. Come mai, secondo lei, non si riesce a darIl presidente di Legambiente Sicilia, Tommaso Castronovo, indica le soluzioni per preservare l’ambiente marinoe una decisa sterzata e a livello culturale e a livello politico-istituzionale?
“Il Mar Mediterraneo è una delle aree più importanti al mondo per biodiversità marina e, allo stesso tempo, una delle più vulnerabili ai cambiamenti climatici. Le temperature medie stanno aumentando fino al 20% più velocemente della media globale e il riscaldamento osservato ha già raggiunto 1,5° centigradi. Qui vive circa il 18% della biodiversità marina mondiale, oltre 12.000 specie, molte endemiche. Ma la pressione antropica è enorme: più di 30 Stati affacciano sul Mediterraneo e la popolazione costiera è in crescita costante, con impatti enormi su pesca, traffico marittimo, inquinamento e sviluppo costiero. Sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche, specie non indigene, alterazioni fisiche dell’ambiente e inquinamento da rifiuti, plastiche e sostanze tossiche sono ormai fenomeni consolidati. La mancanza di volontà politica di fare scelte concrete rallenta azioni decisive: incrementare le aree marine protette, istituire riserve integrali, completare la rete Natura 2000 e applicare le direttive europee (Habitat e Uccelli) sono passi urgenti, ancora sottovalutati. Senza queste azioni, diventa difficile costruire una vera tutela della biodiversità marina”.

Gli indicatori ecologici di molti fondali parlano chiaro: la diversità funzionale è ridotta, la resilienza degli ecosistemi è bassa e gli equilibri naturali risultano alterati. Tutti segnali che confermano un evidente degrado. Cosa servirebbe concretamente per frenare questi aspetti?
“È necessario innanzitutto migliorare la conoscenza scientifica e il monitoraggio della biodiversità marina, promuovendo ricerche sullo stato di conservazione di specie e habitat, così da orientare interventi efficaci. Va rafforzata la gestione integrata della costa e aumentata la tutela degli ecosistemi marini, completando la designazione di nuovi siti Natura 2000 marini e migliorando la governance dello spazio marino-costiero. Le aree marine protette devono prevedere zone a riserva integrale dove la pesca sia vietata, insieme a Fisheries Restricted Area per favorire il ripopolamento ittico e proteggere ecosistemi vulnerabili, come i coralli di profondità. Ridurre la pressione sulla pesca, combattere pratiche illegali e promuovere la piccola pesca artigianale sono azioni chiave. Va valorizzata la filiera ittica sostenibile, coinvolgendo i pescatori nella prevenzione dell’inquinamento e nel recupero della fauna marina in difficoltà, favorendo al contempo lo sviluppo della blue economy, soprattutto nelle aree protette. Occorre anche contrastare le specie aliene invasive con regolamentazioni efficaci e controlli rigorosi”.

Nel 78% dei campioni prelevati in 19 stazioni si registrano livelli di arsenico e cromo oltre soglia. Questo numero in tali proporzioni cosa vuole dire?
“Significa che la contaminazione da metalli pesanti non è episodica né limitata a pochi punti, ma diffusa e strutturale. Valori così elevati indicano pressioni continue, dovute a scarichi industriali, fluviali, aree portuali e scarichi civili abusivi. L’ecosistema marino sta accumulando sostanze tossiche in maniera cronica. Il dato evidenzia l’urgenza di individuare le fonti di contaminazione, procedere a bonifiche mirate e applicare in maniera concreta le normative ambientali, con sanzioni per chi viola le regole”.

Nessuna delle spiagge monitorate ha raggiunto il “buono stato ambientale”. Tanti i rifiuti, marini, addirittura “drammatici” i dati delle microplastiche. Di questo passo cosa si rischia?
“Il rischio è il collasso degli ecosistemi costieri. Le spiagge, indicatori dello stato di salute complessivo, mostrano una situazione critica: il Mediterraneo è tra i mari più inquinati da plastica al mondo. La plastica rappresenta l’80% dei rifiuti marini, con mozziconi e cotton-fioc significativi; un pesce su tre ingerisce plastica e molte tartarughe presentano rifiuti nello stomaco. Le microplastiche entrano nelle catene alimentari e possono avere effetti tossici, aumentando i rischi per fauna e uomo. Il problema più grave è il superamento del punto di non ritorno: se gli ecosistemi degradano oltre la loro capacità di recupero naturale, il danno diventa permanente. La biodiversità, l’economia costiera e la salute delle future generazioni rischiano conseguenze irreversibili. La Sicilia può ancora invertire la rotta, ma il tempo per agire si sta rapidamente esaurendo”.