Il legame tra Cosa nostra, politica e imprenditoria all'insegna di una raccomandazione: "Non ti scordar di me" - QdS

Il legame tra Cosa nostra, politica e imprenditoria all’insegna di una raccomandazione: “Non ti scordar di me”

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Il legame tra Cosa nostra, politica e imprenditoria all’insegna di una raccomandazione: “Non ti scordar di me”

Simone Olivelli  |
venerdì 12 Luglio 2024

Nei dintorni di Agrigento arriva l'inchiesta sui rapporti tra mafia, politica, burocrazia e mondo imprenditoriale. Il legame di Cosa Nostra.

Con i suoi petali azzurri, il non ti scordar di me è uno dei fiori attorno a cui si sviluppano più leggende. Molte delle quali utili a spiegare l’origine del nome. Nel profondo sud della Sicilia, nei dintorni di Agrigento, la stessa espressione attraversa le vicende finite all’interno dell’ultima inchiesta sui rapporti tra mafia, politica, burocrazia e mondo imprenditoriale. La Dda di Palermo, sulla scorta delle indagini eseguite dal Gico della guardia di finanza, ha ottenuto l’arresto di sette persone. In carcere sono finiti i presunti vertici della famiglia che a Sciacca rappresenta Cosa nostra, un ex consigliere comunale di Forza Italia ma anche colui che nel corso del 2023, per volere di Renato Schifani, ha guidato il dipartimento regionale ai Rifiuti.

Nelle oltre cinquecento pagine che compongono le due ordinanze firmate dal gip Fabio Pilato, il comune denominatore sta proprio nel desiderio di non essere dimenticati: gli uomini di Cosa nostra lo fanno presente, con toni che sanno di intimidazione, a chiunque, per un motivo o per un altro, è costretto a farci conti; i politici alla ricerca di voti lo ricordano ai primi in occasione delle elezioni e garantiscono a propria volta di tenere a mente l’aiuto ricevuto, il burocrate, accusato di avere mercificato la propria funzione in cambio della possibilità di usufruire gratuitamente della ditta riconducibile ai mafiosi, lo scrive invece direttamente. “E non ti scordar di me”, sono le parole con cui Maurizio Costa, dirigente della Protezione civile negli anni della pandemia, conclude un messaggio inviato a Giuseppe Marciante, 37enne di Ribera che si sarebbe fatto strada nel mondo dei lavori pubblici grazie a intraprendenza e alla parentela che lo lega a Domenico Friscia, l’uomo che negli ultimi anni a Sciacca avrebbe guidato la famiglia mafiosa.

Subappalti e forniture

I sindacati degli edili – Fillea Cgil su tutti – lo dicono da tempo: gli interessi della criminalità organizzata potrebbero sempre più concentrarsi a valle del mondo dei lavori pubblici, intercettando la richiesta di materiali e imponendo, il più delle volte senza bisogno di passare alle maniere forti, le imprese che concretamente devono lavorare nei cantieri e accaparrarsi buona parte dei pagamenti erogati dalla pubblica amministrazione.

Nell’inchiesta della Dda di Palermo, sono diversi i casi in cui Cosa nostra avrebbe avuto un ruolo da protagonista. Oltre a Friscia, già condannato per mafia, i lavori pubblici sarebbero stati influenzati dalla presenza da Domenico Maniscalco, in passato assolto dalla stessa accusa, ma che per i magistrati avrebbe addirittura conteso a Friscia la guida del gruppo. Maniscalco è ritenuto il titolare di una ditta, formalmente intestata al figlio, che vende prodotti per l’edilizia. A lui sarebbero stati costretti a rifornirsi le imprese che lavorano nel settore pubblico a Sciacca.

“Bocca dolce con tutti e poi sai tu quando ci devi tagliare la testa alle persone”, diceva Maniscalco citando il boss Salvatore Di Gangi, morto nel 2021. Un senso di fedeltà che in una certa fase era stato messo in crisi dalle voci che circolavano negli ambienti mafiosi e che avrebbero visto Maniscalco propenso a fare il confidente delle forze dell’ordine. Per gli inquirenti, però, Maniscalco – e con lui Michele Russo e Giuseppe Marciante – farebbero parte della cosca e da tali avrebbero condizionato l’esecuzione di diverse opere.

Tra queste c’è anche la riqualificazione del porto di Sciacca, che nel 2022 era finito già al centro di un’indagine per una presunta corruzione che coinvolgeva anche l’allora dirigente regionale del servizio Infrastrutture marittime. “La supremazia di Maniscalco veniva manifestata anche nei confronti del capocantiere al quale veniva imposto di rifornirsi di materiale nonostante l’offerta economica più svantaggiosa rispetto ad altri preventivi acquisiti”, si legge nell’ordinanza.

L’hub vaccinale e i favori al dirigente

La seconda delle due ordinanze eseguite dai militari del Gico è concentrata sui rapporti tra Giuseppe Marciante, nipote del presunto capo della cosca, e il dirigente della Protezione civile Maurizio Costa. Costa è accusato di avere affidato lavori pubblici a Marciante in assenza dei requisiti previsti dalle norme sugli appalti e a fronte di un rapporto corruttivo che lo avrebbe legato all’imprenditore. Sotto la lente dei magistrati sono finite le opere di recinzione della Scala dei Turchi all’epoca del sequestro disposto dall’autorità giudiziaria, ma anche la realizzazione dell’hub in cui durante la pandemia sono stati somministrati i vaccini a Sciacca. Un affidamento da oltre centomila euro ottenuto da Marciante nonostante il mancato possesso dell’attestazione che avrebbe dovuto certificare le competenze dell’impresa. “Mi devi dare notizie della Soa, l’hai fatta? Che hai combinato?”, chiedeva a Marciante il direttore dei lavori. L’imprenditore, tuttavia, prendeva tempo, forte – secondo gli inquirenti – delle cortesie che a sua volta avrebbe fatto a Costa. Da interventi di edilizia a opere di giardinaggio. “La connessione funzionale e temporale tra gli affidamenti diretti in favore di Marciante e le lavorazioni eseguite gratuitamente in favore di Costa trovava conferma qualche giorno dopo la delibera di affidamento dei lavori dell’hub vaccinale”, ha scritto il gip, che per entrambi ha disposto il trasferimento in carcere.

I movimenti prima delle elezioni

L’inchiesta palermitana tira in ballo anche le elezioni comunali e regionali del 2022. Nelle intercettazioni, molte delle quali con l’ingresso in vigore della riforma Nordio potrebbero sparire dalle ordinanze e di conseguenza essere sottratte alla conoscenza da parte della cittadinanza, i candidati tirano in ballo più di uno tra i politici di spessore della provincia. Si fanno i nomi di almeno tre deputati regionali. I candidati, parlando con i presunti esponenti di Cosa nostra, affermano di avere i contatti giusti per mantenere le promesse.

In un apparente ribaltamento di piani e rapporti di forza, tra coloro che si sarebbero mostrati disponibili ci sarebbe stato lo stesso Domenico Friscia, il capo del gruppo. Nel 2022, l’uomo è stato intercettato in più di un’occasione mentre parlava con l’allora presidente del Consiglio comunale Vincenzo Costa. Costa, che di professione fa il medico veterinario e che dalle ordinanze non risulta indagato, avrebbe chiesto a Friscia diversi favori: dal redarguire due presunti ladri di farmaci per animali a un’informale attività di vigilanza su alcuni immobili di proprietà. In cambio, il presunto capo di Cosa nostra di Sciacca avrebbe richiesto l’impegno affinché la propria figlia venisse assunta in una struttura sanitaria della provincia.

“Lui pressa per farti entrare subito, gli ho detto: ‘Vince’ un mese più, un mese meno per noialtri non ce n’è (problemi, ndr)”, ricostruiva Friscia parlando con la figlia. Dal canto proprio Costa avrebbe cercato di rassicurare l’interlocutore: “Faccio parte di una fotza politica non indifferente”, dice l’uomo parlando con Friscia. Per poi citare come persone a sé vicine tre figure di primo piano di Forza Italia.

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