Roma, 23 dic. (askanews) – Qualcuno ha rubato il significato di “performance”. L’ha ridotta a numeri. Watt, grammi, secondi, classifiche. Ma la parola viene dal latino per-formare: dare forma. Non misurare. Creare.
Performance è diventata sinonimo di successo quantificabile, intrisa di quella cultura anglosassone che misura tutto e immagina meno. La vera performance va oltre i marginal gains, oltre l’ottimizzazione di quello che esiste già, oltre la riduzione dell’uomo a insieme di metriche, oltre alle scelte misurabili e quantificabili, oltre la replicabilità.
Romolo Stanco – architetto, designer, specializzato in fisica dei materiali metallici avanzati, fondatore di TOOT Engineering e TRED Bikes – porta nel ciclismo l’esperienza maturata nel motorsport, nell’industrial design, nel biomedicale e nell’architettura. Progettare quello che non esiste. Farlo con un’etica che parte dall’elemento primario: l’uomo, la donna, l’atleta nella sua sfida unica e personale che non può essere raccontata da numeri, quantità e risultati.
Stanco cerca di restituire a questa parola la sua anima originale raccontando una terza via: quella dell’innovazione radicale attraverso il racconto di dieci “invisibili indispensabili”: geni che hanno dato forma al futuro dello sport dall’ombra, lontano dai riflettori: figure che hanno spostato i limiti della performance progettando intorno all’uomo, non adattando l’uomo al prodotto.
Graeme Obree costruisce in garage la bici con cui batte il record dell’ora. Mike Burrows viene ostracizzato dall’industria per le sue visioni. Rory Byrne, il chimico dell’aria, ridisegna la Formula 1 intorno a Michael Schumacher. Pierre Terblanche sfida Ducati dall’interno. Jan-Willem van Schip viene preso di mira dall’UCI per la sua voglia di sperimentare. Kevin Czinger rivoluziona la produzione automobilistica e poi finisce a costruire droni militari.
Eroi e non eroi. Figure che lottano contro un sistema che preferisce la tradizione all’innovazione. Per loro “performance” non è un risultato da misurare ma un atto creativo che mette al centro l’atleta – con la sua passione, le sue ambizioni, la sua unicità – non il prodotto, non il numero.
Dalle storie emergono i principi del Performance Manifesto: linee guida che ridefiniscono cosa significhi progettare per la prestazione, guardando alle regole come “perimetro della sfida”, non come gabbia. Con prefazione di Franco Bortuzzo (storico caposervizio Rai, vent’anni tra Formula 1 e ciclismo), Performance Manifesto è un atto di ribellione. Una rivincita della qualità sulla quantità.
Il libro, pubblicato in doppia lingua italiano/inglese, è stato anticipato da un’edizione limitata di 81 copie con copertina completata a mano (esaurita) e accompagnato da una seconda edizione limitata di 50 copie in spagnolo. Disponibile nelle librerie, online, in diversi velodromi, in Land of Performance e su www.officinegutenberg.it.
Progettare performance è rispetto. Fiducia nell’unico. Sfida a limiti che hanno le ore contate.

