Clima mite e ambiente. Architettura e gastronomia. Livelli dei costi e sicurezza. Voci che, in base a una recente indagine del National Geographic, vedono oggi Palermo tra le 5 migliori città al mondo per lavorare in smart working. E che si combinano con il resto dello speciale scenario siciliano, non limitato al binomio sole-mare ma composto da un patrimonio culturale e naturalistico ricchissimo. Una realtà alla quale concorrono i borghi storici disseminati nelle 9 province: scrigni di tradizioni combinate con ritmi di vita lenti e distesi. E il reticolo dei cammini, le vie di fede dirette verso luoghi sacri percorse nei secoli dai pellegrini, alle quali si aggiungono gli antichi sentieri battuti dai mercanti: itinerari di conoscenza, questi, riscoperti in gran parte dei paesi europei, che ricalcano soprattutto le strade dell’Impero Romano, ciascuno con il proprio carico di bellezze paesaggistiche e culture locali. Tesori dal potenziale ‘esplosivo’ in termini di prospettive sociali e economiche.
Di tutto ciò, se ne è discusso ieri a Palermo nell’aula magna dello Steri nel corso di un convegno-dibattito organizzato dal Lions Club del capoluogo insieme con la Città Metropolitana e l’Università degli Studi. Un’occasione per fare il punto soprattutto sulla necessità di far presto: nello spendere le risorse, che ci sono e sono anche ingenti. E per costruire, a condizione di un loro impiego oculato, un sistema turistico integrato e capace di diluire la sua offerta, in termini di fruizione del territorio e di modalità variegate dei soggiorni, in un quadro di allungamento delle stagionalità.
Riguardo ai borghi – è stato sottolineato – urge lavorare per una valorizzazione in chiave culturale, economica e prospettica. “Ossia per dare un seguito duraturo a un ritorno e anche a un rinnovamento delle nostre radici – ha detto il sindaco di Palermo Roberto Lagalla. Il riferimento al fenomeno dello smart working, ormai sempre più chiamato southworking visto che riguarda essenzialmente i paesi più piccoli del Sud Italia, grazie al forte valore storico di questi piccoli paesi, unitamente alla loro componente naturalistica, al loro basso costo della vita e alle connessioni digitali, è centrale nella prospettiva delle rigenerazioni dei territori”. La condizione è portare avanti una logica di sviluppo comprensoriale con cui – ha rimarcato il sindaco – valorizzare le realtà identitarie dei singoli borghi mettendole però a sistema in una sorta di ‘cluster’ dell’offerta. Significa Una distribuzione dei servizi tra comuni viciniori, differenziando tra questi anche l’offerta gastronomica”.
Ma significa anzitutto migliorare l’infrastruttureazione, viaria e dei servizi di trasporto. Tutto ciò non può essere oggetto e responsabilità degli amministratori di un singolo Comune, ma impone un approccio multilaterale in cui la politica deve svolgere un ruolo di aggregazione. E il ruolo di proposta e approvazione tecnico-progettuale delle Università e delle associazioni è fondamentale per avviare le progettazione di servizi nei territori”.
Il riferimento va in particolare a quelli sanitari. Oggi sono sempre di più i piccoli comuni deprivati di strutture di pronto soccorso e ospedaliere. Realtà in cui è importantissimo il ruolo della cosiddetta medicina rurale: “Una branca complessa, per la quale occorre una formazione adeguata per i medici che svolgono la loro professione nei borghi – ha ricordato il professor Marcello Ciaccio, presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Palermo. Oggi la formazione e l’aggiornamento di questi dottori è più facile grazie all’informatizzazione e allo smart working. Ma occorre confrontarsi coi sindaci dei borghi sulle necessità più impellenti delle comunità che rappresentano. La creazione di situazioni confortevoli e soprattutto di sicurezza medico sanitaria è ineludibile; e il ruolo di interazione dell’Università per comprendere e superare le criticità maggiori è centrale”.
I borghi sono tesori di specificità culturali. E attraverso la loro valorizzazione potranno risultare sempre più attrattivi. Non solo per i giovani ma anche per le persone che, specie dopo una vita di lavoro, vogliono riappropriarsi del proprio tempo. Riguardo ai primi, l’abbandono dei piccoli centri supera ancora di molto la tendenza a ritornarvi, che è comunque in crescita. Le specificità dei borghi si legano alla biodiversità dei loro territori, espressa soprattutto dalla gastronomia. “Pensare ad un corso di Scienze gastronomiche in uno o più paesi siciliani tra loro collegati e caratterizzati dalla presenza di materie prime uniche, aumenterebbe l’appeal di queste realtà e rinforzerebbe quella già attualmente altissima della Sicilia, mai vista prima come oggi a livello internazionale”, ha detto Massimo Midiri, rettore dell’Università di Palermo.
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Il punto nodale restano l’insufficienza delle infrastrutture, prima di tutto viarie e di trasporto. Un aspetto che da troppo tempo comprime le prospettive di sviluppo turistico: “Con i suoi parchi archeologici, i suoi luoghi storici, le sue riserve marine e terrestri e una storia di 2.700 anni, la Sicilia conta ancora 16milioni di pernottamenti: numero ancora ingiustificabilmente basso a fronte a quelli di tanti altri siti turistici nel mondo dotati di un patrimonio culturale e di bellezza naturalistica che, per quanto rilevante, resta inferiore a quello del nostro territorio – ha dichiarato il direttore del Quotidiano di Sicilia Carlo Alberto Tregua, socio Lions da 48 anni -. Occorre che la Regione si doti di una task force da mandare a Roma per convincere le tante associazioni professionali a venire in Sicilia durante le stagioni di minor traffico turistico in modo da creare un sistema organizzativo che coinvolga in primis gli albergatori siciliani. Significherebbe aprire un indotto legato a diversi milioni di turisti in più nell’arco dell’anno”.
Al convegno dell’associazione filantropica si è illustrato anche il patrimonio dei Cammini in Sicilia, grazie al quale l’entroterra regionale si colloca oggi sempre di più tra le nuove mete preferite dei viandanti in arrivo da diverse parti d’Italia e del mondo. Un sistema in via di ampliamento che al momento conta poco meno di 50 cammini di lunghezza e durata differente, tra vie sacre (in tutto 36), antichi sentieri commerciali, dai tragitti anche inferiori ai 100 chilometri di lunghezza (che è la misura canonica minima con cui in genere viene identificato un cammino). E che da due anni gode anche di una legge regionale, utile a promuoverli, metterne in sicurezza i antichi tracciati e dotarli di adeguata segnaletica. Un processo che sconta ritardi.
Il più antico è la Trasversale Sicula, paradigma dei valori dell’entroterra isolano: oltre 620 chilometri dall’isola di Mozia fino a Kamarina. Seguito dalle quattro vie francigene siciliane, di cui la ‘Magna Via’ da Palermo a Agrigento è la principale. E poi l’Itinerarium Rosaliae, da Palermo all’Eremo della Quisquina, dove si rifugiò a dodici anni Rosalia Sinibaldi, destinata a diventare santa patrona di Palermo; e tra gli altri, la via dei Frati, da Caltanissetta a Cefalù, che attira soprattutto i viandanti devozionali e il cosiddetto Trekking Del Santo, dedicato a San Nicolò Politi, tragitto breve (70 chilometri) che va da Adrano ad Alcara Li Fusi. “Da anni proviamo a trasmettere la voglia di camminare, ma anche di accogliere i camminatori da parte di chi abita i borghi che si attraversano a piedi – ha spiegato al convegno Salvo Balsamo, presidente dell’Associazione vie Francigene di Sicilia. Il portarsi a piedi da un luogo all’altro vuol dire incontrare storie natura e bellezza, condividendone senso e emozioni con le tante persone che si incontrano camminando. Tutto ciò arricchisce a livello personale ma arricchisce anche i territori attraversati”.