Lo stipendio non sia variabile indipendente - QdS

Lo stipendio non sia variabile indipendente

Carlo Alberto Tregua

Lo stipendio non sia variabile indipendente

venerdì 10 Dicembre 2021

Proporzionato ai risultati

La questione è vecchia come il cucco: lo stipendio deve essere un vitalizio, perché il lavoro si paga a parte, oppure è il compenso per l’attività di una persona, tendente a raggiungere un risultato prefissato?
Il quesito non è di poco conto perché risente di una mentalità antica che era pienamente giustificata nell’immediato postguerra e precisamente nel decennio fra il Cinquanta e il Sessanta. Allora gli stipendi di dipendenti pubblici e privati erano bassissimi, per cui non si poneva il problema di un rapporto con i risultati.

Poi, via via, anche per effetto di una saggia politica sindacale, gli stipendi sono lievitati e oggi hanno raggiunto la media europea, in proporzione al Pil dell’Italia.
Di tale proporzione va sempre tenuto conto in quanto riflette il costo della vita. Si dice che in Romania gli stipendi siano più bassi di quelli italiani: è ovvio perché il costo della vita è più basso di quello italiano.


Come ricorderete, in Italia vi erano le cosiddette gabbie salariali, vale a dire gli stipendi proporzionati al costo della vita da Nord a Sud. Poi furono eliminate in forza dell’articolo 3 della Costituzione sull’uguaglianza fra i cittadini, ma esse avevano una ragione d’essere e l’avrebbero ancora oggi.

Infatti è notorio che il costo della vita (affitti, vitto, mezzi pubblici e via enumerando) sia più caro a Milano che a Ragusa. Per cui, chi percepisce uno stipendio, mettiamo, di 1.500 euro al mese, vive meglio al Sud che al Nord.
Il processo di crescita degli stipendi è aumentato, per quanto riguarda quello di dirigenti e funzionari pubblici e privati, tanto che, prima della recente legge sul taglio dei compensi di questi ultimi, vi erano dirigenti pubblici che percepivano trecento/cinquecentomila euro l’anno. Ora tale taglio ha fissato il massimo a 240 mila euro.

Alla progressione degli stipendi però non è corrisposta una progressione dei rendimenti e cioè dei risultati. Nel settore privato questo rapporto esiste. Non solo, ma addirittura vengono erogati premi in base al miglior andamento delle aziende, calcolato sulla EBITDA e su altri parametri.

Non si trova nulla di tutto ciò nel settore pubblico, ove lo stipendio viene considerato un compenso per la presenza, non per i risultati ottenuti, con la conseguenza che tutti, quelli bravi e i pelandroni, vengono valutati allo stesso modo.

Le valutazioni fatte dai dirigenti ogni fine anno sono ovviamente massime nella quasi totalità dei casi e quindi non offrono quella graduazione che sarebbe indispensabile, sempre per distinguere i bravi dai fannulloni. Peraltro, i sindacati rappresentativi del settore pubblico difendono tutti i dipendenti, indipendentemente dalla qualità del loro lavoro.

La questione di fondo è che, invece, lo stipendio non dovrebbe essere una variabile indipendente dal risultato, ma strettamente connessa a esso.
Questo meccanismo proporzionale si verificherebbe qualora nei contratti collettivi pubblici, ma anche in quelli privati, si inserissero i valori di merito, responsabilità e produttività, cosa che sistematicamente non avviene.


In generale, nel funzionamento delle istituzioni del nostro Paese, tali valori etici non esistono perché, se così fosse, non potremmo avere una quantità di deputati, senatori, consiglieri regionali e comunali di basso profilo, come sono quelli che in atto occupano i rispettivi consessi.
Non vi è selezione meritocratica perché i cittadini non sanno distinguere il bue dall’asino, cosicché non sono sorpresi quando il bue dice all’asino cornuto, cioé rovesciando le parti.

Ed è proprio questo meccanismo, questo rovesciamento delle parti che porta il nostro Paese nelle attuali condizioni di sottosviluppo rispetto ai Paesi del Nord Europa, anche per effetto del degrado territoriale ed economico che vi è nelle otto regioni del Sud, le quali – per contro – detengono la maggior parte dei tesori ambientali, archeologici e paesaggistici di tutto il Paese.

Dunque, lo stipendio non sia una variabile indipendente. Ma questa – consentitemi, cari lettori – è pura e semplice utopia, a causa del buio che ci circonda.

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