Alle 8,30 di quel 23 luglio del 1993 Raul Gardini avrebbe dovuto comparire davanti ai pm milanesi, per il primo interrogatorio su quella che verrà poi definita la madre di tutte le tangenti: il caso Enimont. In quei giorni viveva a Palazzo Belgioioso, la sua residenza nel cuore della Milano degli affari. Da mesi stava trattando, tramite i suoi avvocati, con Antonio Di Pietro. Era disposto a parlare, ma senza manette. Era disposto a farsi filmare mentre entrava a Palazzo di giustizia, ma chiese garanzie che gli sarebbe stata evitata la notte a San Vittore. Fu inoltre stabilito un accordo di massima: Gardini si doveva presentare spontaneamente, Di Pietro gli avrebbe chiesto dell’Enimont, di Panzavolta e Greganti e delle tangenti pagate al Pci. La notte prima, i carabinieri che controllano piazza Belgioioso avvertirono Di Pietro che Gardini era tornato a casa. Chiesero se devono arrestarlo. Di Pietro risponde di no.
Successivamente aveva previsto di partecipare ai funerali di Gabriele Cagliari, l’allora presidente dell’Eni che tre giorni prima si era suicidato, con un sacchetto in testa, nel carcere di San Vittore a Milano. Non andrà a nessuno dei due appuntamenti. La versione ufficiale racconta che il suo corpo senza vita, dicono le indagini di allora, fu trovato verso le 8,45 dal maggiordomo di palazzo Belgioioso, che subito svegliò il figlio Ivan per informarlo dell’accaduto. Da quel momento in poi ci sarà…

