L'olio extravergine d'oliva compie sessant'anni - QdS

L’olio extravergine d’oliva compie sessant’anni

L’olio extravergine d’oliva compie sessant’anni

domenica 12 Gennaio 2020

Risalgono al 1960 sia la legge, sia il marchio qualità. Si apre adesso una nuova pagina con il turismo dell'olio e sarà utile la nuova legge "ma - dicono gli esperti - operatori e agriturismo devono investire in accoglienza reale"

Il principe della dieta mediterranea, l’olio extravergine di oliva, compie sessant’anni e nella carta d’identità ha la cittadinanza italiana.

Fu con la legge n. 1404 del 13 novembre 1960, infatti, che entrò in vigore la classificazione merceologica con cui ancora oggi in Italia e nel resto del mondo si classifica come “extra vergine” (Evo) l’olio ricavato dalle olive.

Lo ricorda Luigi Caricato, uno dei massimi esperti italiani in campo olivicolo e fondatore di Olio Officina Festival (Oof) che, dal 6 all’8 febbraio a Milano celebra, insieme ai dieci anni del progetto culturale a favore della democratizzazione dell’olio, questo anniversario che attesta un primato italiano nella valorizzazione dell’oro verde.

“Siamo stati i primi al mondo – racconta Caricato all’ANSA – a trovare questa definizione merceologica sessant’anni fa. Si può dire che l’Italia ha inventato l’extravergine e poi tutti gli altri Paesi ci hanno seguito. Una scelta lungimirante che accompagna un prodotto che oggi è cambiato. Sessant’anni fa c’era la categoria, ma mancava mediamente la qualità”.

“Il miglioramento – aggiunge – è iniziato negli anni Ottanta, soprattutto grazie alle politiche dell’Ue. Dagli anni Novanta l’esplosione e l’attenzione crescente nella ristorazione e nei consumi. Un’atmosfera positiva che però ha visto crescere la qualità nell’oliera ma nessuno ha investito negli uliveti”.

“Il fabbisogno italiano annuo – precisa Caricato – è di un milione di tonnellate, delle quali 600 mila per consumi interni e 400 mila da destinare all’export. Non riusciamo a produrre questa quota per mancanza di terreni destinati all’olivicoltura professionale e per rinuncia alla ricerca e all’innovazione”.

Secondo l’esperto, “la tradizione sta diventando un abito vecchio ma intramontabile. Il comparto sembra rinunciare al concetto di smartphone in agricoltura e tutti i centri di ricerca sono chiusi così come gli uliveti sperimentali”. A Milano, nella tre giorni di Olio Officina Festival, sono previsti incontri con operatori e istituzioni, compreso il direttore esecutivo del Consiglio oleicolo internazionale (Coi), per individuare le strade nuove da percorrere a tutela del Made in Italy.

“La nostra legge, che nel corso degli anni è diventata Legge Comunitaria, ha saputo guardare lontano – sottolinea Caricato – ma il prodotto è cambiato e in meglio. Da qui l’ipotesi di nuova classificazione dell’olio e di abbassare la soglia di acidità. La priorità è sburocratizzare. Bene le sanzioni su comunicazioni ingannevoli sulla qualità dichiarata ma servono meno vincoli nel poter qualificare produzioni di pregio. Oggi chi scrive in etichetta riserva o cru rischia sanzioni da seimila euro e sugli scaffali di vendita non può distinguersi da prodotti di primo prezzo”.

La perdita di valore non è concepibile, serve un salto di qualità della filiera perché gli ci sono Paesi competitor più determinati nella promozione, “ad esempio gli spagnoli si autotassano per fare comunicazione, mentre in Italia il settore è stato forse troppo assistito e manca oggi di managerialità che porta ad investire in marketing e in ricerca gli aiuti europei”.

“Ora – conclude l’esperto – si apre la pagina del turismo dell’olio e sarà utile la nuova legge ma gli operatori e gli agriturismo devono investire in accoglienza reale, non aprendo semplicemente un punto vendita. Vanno create nei diversi territori dell’olio, dalla Sicilia al Garda, dalla Puglia alla Liguria, attrattive, per esempio percorsi di realtà aumentate. Turismo non è solo vendita ma significherà creare occasioni culturale e di intrattenimento per motivare sempre più viaggiatori ad andare tra gli ulivi”.

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