Vito Di Marco, responsabile scientifico della Rete HCV Sicilia: nell’Isola 30mila over 60 hanno contratto il virus. Detenuti e pazienti che fanno uso di droga: per loro prevalenza più alta del virus rispetto agli altri
PALERMO – Pazienti con comportamenti a rischio legati all’uso pregresso o attuale di sostanze e detenuti: è su queste due categorie che bisogna indagare per riuscire ad eradicare definitivamente dal nostro Paese l’epatite C. Numerose evidenze scientifiche dimostrano infatti come in queste due ‘popolazioni chiave’ la prevalenza del virus sia più alta rispetto ad altre. Per questo utenti dei Servizi per le Dipendenze (Ser.D.) e carcerati devono essere sottoposti per primi ad uno screening diffuso, perché sono i principali soggetti che possono ancora facilmente trasmettere l’infezione. Ma per pianificare un efficace programma di eradicazione del virus da Hcv, oltre ad un ‘gioco di rete’ che coinvolga Ser.D. e centri specialistici, sono necessarie soprattutto tre azioni: conoscere l’epidemiologia, attraverso indagini conoscitive sulla prevalenza dei pazienti; applicare correttamente i test diagnostici, grazie ad un processo di condivisione tra specialisti; gestire la terapia con regimi appropriati, valutando gli esiti virologici e i benefici sia individuali sia collettivi della cura.
Parte da queste basi Rete Hcv Sicilia che, nata nel 2015, ad oggi può contare su un network composto da 41 centri clinici e 101 medici specialisti (tra gastroenterologi, epatologi, infettivologi e medici di medicina interna). Grazie a questa Rete negli ultimi due anni in Sicilia è stato possibile eliminare l’epatite C nel 97,5% dei pazienti trattati. Ma ora il network siciliano guarda al futuro e punta ad un nuovo e ambizioso obiettivo: contrastare la diffusione del virus tra le persone che hanno fatto uso di droghe per via endovenosa (Pwid, People who inject drugs) e tra i detenuti, attraverso diagnosi veloci e terapie snelle. Il progetto è stato illustrato nel corso della web conference dal titolo ‘Eliminazione dell’infezione da epatite C nei Ser.D. e nelle carceri: il progetto della Rete Hcv Sicilia’, organizzata e promossa dal provider Letscom E3 nell’ambito di ‘Hand – Hepatitis in Addiction Network Delivery’, il primo progetto pilota di networking a livello nazionale patrocinato da quattro società scientifiche (Simit, FeDerSerD, SIPaD e Sitd), che coinvolge i Servizi per le Dipendenze e i relativi Centri di cura per l’Hcv afferenti a diverse citta’ italiane. L’evento ha avuto il patrocinio della Rete Hcv Sicilia.
“Un’indagine epidemiologica che abbiamo condotto sulla prevalenza dei pazienti con epatite/cirrosi da Hcv delle varie provincie della Sicilia, in collaborazione con gruppo di medici di medicina generale – ha spiegato Vito Di Marco, responsabile scientifico della Rete Hcv Sicilia e professore di Gastroenterologia dell’Università di Palermo – ha indicato che circa l’1% dei cittadini siciliani ha una malattia cronica di fegato da Hcv e ha confermato che oltre il 50% di questi pazienti ha un’età superiore a 60 anni. La prevalenza dei pazienti con epatite cronica da Hcv varia nelle provincie della Sicilia da 0.5% a 1.5%. Solo tra le persone con età superiore a 60 anni è probabile che vi sia una prevalenza della malattia superiore al 2%”. Alla luce di queste osservazioni è dunque possibile ritenere che in Sicilia siano presenti “tra 30mila e 50mila persone con una malattia cronica di fegato da Hcv – ha proseguito Di Marco- e se facciamo un rapporto tra la popolazione per fasce di età, è presumibile che in Sicilia ci siano circa 30mila persone con infezione da Hcv tra 1.300.000 cittadini che hanno un’età superiore a 60 anni e circa 15mila persone con infezione da Hcv tra i 3.500.000 cittadini con età tra 18 e 60 anni”.
In Italia l’infezione da Hcv si è molto diffusa nel periodo tra il 1930 e il 1970, quando le principali modalità di trasmissione erano le trasfusioni di sangue o altre procedure che permettevano la trasmissione parenterale del virus. Successivamente, negli anni 1980-2000, la principale modalità di trasmissione di Hcv è stata la tossicodipendenza per via venosa. “Pertanto è possibile individuare due coorti di pazienti con infezione da Hcv – ha spiegato Di Marco – la prima è formata da persone nate tra il 1930 e il 1960, che attualmente hanno un’età superiore a 60 anni, mentre la seconda è formata da persone nate tra gli anni 60 e 90”.
Sulla base dei dati epidemiologici, intanto, in Sicilia è stato attuato un programma di ‘linkage to care’ dei pazienti con epatite cronica da Hcv: “Circa 2/3 dei pazienti con malattia cronica da Hcv hanno un’età maggiore di 60 anni, sono conosciuti dai medici di medicina generale – ha sottolineato Di Marco – e devono essere avviati alla terapia attraverso il canale di collaborazione tra il territorio e i centri specialistici. È necessario poi organizzare altre modalità di accesso alla terapia antivirale per i pazienti che fanno parte della ‘coorte anziana’, attraverso la collaborazione con le strutture sanitarie periferiche (farmacie, Croce Rossa e organizzazioni di volontariato)”.
Quanto ai pazienti della ‘coorte giovane’, la maggior parte ha avuto nel passato comportamenti a rischio e quindi è necessario “progettare degli interventi nelle strutture sanitarie dove questi pazienti sono ancora seguiti per le malattie correlate ai comportamenti a rischio”, ha proseguito ancora Di Marco.
Ma l’obiettivo della Rete Hcv Sicilia è anche quello di attuare, in collaborazione con i direttori delle carceri, i medici e gli infermieri, un progetto che prevede lo screening, la diagnosi e il trattamento dei detenuti direttamente dentro i 23 istituti istituti penitenziari della regione, che ospitano oltre 6mila detenuti. L’analisi delle patologie infettive più frequentemente segnalate negli istituti di pena indica infatti che l’infezione da Hcv ha la maggiore: i dati epidemiologici più recenti in Italia descrivono una prevalenza dell’infezione da Hcv tra il 5% e il 10% dei detenuti. “Uno studio eseguito nei due carceri di Milano (Opera e San Vittore) nel 2018 e coordinato da Roberto Ranieri – ha raccontato il responsabile scientifico della Rete Hcv Sicilia – riporta una prevalenza del 9.2% su 2.300 detenuti esaminati, mentre tra i 1.100 detenuti del carcere Lorusso-Pagliarelli di Palermo, esaminati in uno studio del 2019 da me coordinato, la prevalenza era del 5.4%. La prevalenza dell’infezione è superiore al 25% nei detenuti che hanno una storia di tossicodipendenza e praticano la terapia sostitutiva con metadone o farmaci simili”.
In conclusione, l’infezione da HCV e le malattie epatiche correlate sono diventate un problema di sanità pubblica da affrontare e risolvere con un progetto di collaborazione ampia e multidisciplinare. In tale contesto la Regione Sicilia, che si è dotata di una efficiente e consolidata Rete per la diagnosi e la cura dell’epatite cronica da Hcv, può essere un modello trainante e replicabile su tutto il territorio nazionale.
“In Sicilia sono attivi 51 Ser.D. distribuiti in tutte le Asp provinciali – ha ricordato Di Marco – e quindi in grado di attuare un progetto di screening, linkage to care e gestione della terapia dei tossicodipendenti in trattamento sostitutivo e delle altre persone che hanno dipendenze patologiche. Nello stesso tempo nelle 9 Asp provinciali della Sicilia sono presenti 32 centri della Rete Hcv abilitati alla prescrizione della terapia per l’epatite C. La collaborazione tra le due reti assistenziali è naturale e deve essere attiva”. È dunque questa, secondo gli esperti, la strada giusta da intraprendere per raggiungere l’obiettivo di eliminare definitivamente in Italia il virus dell’epatite C entro il 2030, così come indicato dall’Organizzazione mondiale della Sanità, puntando ad una maggiore ‘emersione del sommerso’: “Secondo le ultime stime nel nostro Paese circa 280mila persone non sanno ancora di avere una malattia cronica di fegato da Hcv. Molte non conoscono poi la disponibilità di terapie efficaci o non hanno la possibilità di accedere ai centri specialistici che erogano la terapia antivirale”.