Le Paralimpiadi di Tokyo sono state l’ennesima dimostrazione che Luca Mazzone è il campione di tutti i tempi dell’handbike che l’Italia abbia mai potuto vantare.
La sua storia è di un uomo che non conosce il verbo arrendersi e a cui non piace la comfort zone. Di origini pugliesi, da sempre praticante di sport, a 19 anni rimane vittima di un incidente che gli provoca una lesione midollare cervicale.

Si dedica al nuoto paralimpico e alle Paralimpiadi di Sydney 2000 vince due medaglie d’argento nella categoria S4, oltre ad aver conseguito diversi record nazionali e mondiali e facendosi notare ai campionati mondiali vincendo nei 50, 100 e 200 metri stile libero. Dopo le Paralimpiadi di Pechino, annuncia il suo ritiro. È un modo per mettere su famiglia e per conseguire il diploma di ragioneria.
Incapace di stare lontano dalle gare, si reinventa ancora una volta. Dal nuoto passa nel 2011 all’handbike e si tessera con il Circolo Canottieri Aniene nel 2012. Vince i campionati del mondo su strada di handbike del 2013, 2014 e 2015 nelle prove in linea e a cronometro H1 e H2 e nella staffetta mista, componendo il trio iridato con Alex Zanardi e Vittorio Podestà.
Alle Paralimpiadi di Rio2016 vince la medaglia d’oro nella staffetta handbike H1 -5 con Zanardi e Podestà e si mette al collo anche l’oro nella crono H2, più un argento nella gara su strada.
Cinque anni dopo, a 50 anni, con i compagni di squadra Paolo Cecchetto e Diego Colombari, conquista la medaglia d’oro in Team Relay, riconfermandola, oltre i due argenti nella crono e nella prova in linea.
Medaglia d’oro a Tokyo 2020 nel team relay, ma è solo l’ultima di un palmarès ricco. Cosa c’è dietro una vittoria così?
“C’è tanto lavoro che a descriverlo non rende l’idea. Ci vogliono passione e amore per lo sport, soprattutto per la fatica perché dedichi tutta la giornata tra allenamenti, nutrizione e uscite esterne.
A 50 anni devi allenarti anche di più perché gli avversari sono più giovani e anche più forti. È una costante dedizione, ma mi fa stare bene con me stesso a livello fisico e mentale”.

Qual è il rapporto con gli altri atleti con cui ha conquistato il gradino più alto del podio?
“È un rapporto di amici di squadra. Ognuno abita in una parte differente d’Italia. Ci si vede durante i raduni della Nazionale. Siamo in buoni rapporti e ci alleniamo con la stessa intensità”.
Tra le prime dichiarazioni dopo la vittoria, vi è stata la dedica ad Alex Zanardi con il quale è stato compagno di squadra. Cosa ha imparato gareggiando fianco a fianco con Zanardi?
“Ho imparato tanto perché Alex è una persona squisita, gentile e che si mette a disposizione. Mi ha aiutato con le ruote della handbike. C’è un’azienda di Vicenza, la Campagnola, che fa ruote per i ciclisti. Le produceva solo per Alex. A dicembre 2019 ne abbiamo parlato e prima dell’incidente le ha fatte fare pure per me. Inoltre, nella meccanica era bravissimo e ti dava sempre dei consigli. Ci teneva sempre allegri nei ritiri con la Nazionale. Una persona molto simpatica e un carattere molto positivo che ti dava stimolo, coraggio e forza”.
La sua è una storia incredibile. Cosa significa per lei essere resiliente?
“Non ci sono spiegazioni perché per me è normale. Tante volte ci chiamano superuomini, ma io sono un ragazzo che ha avuto un brutto incidente, ho avuto una famiglia prima e dopo che mi ha aiutato e fatto crescere con l’idea di affrontare le difficoltà e di ricevere il massimo dalla vita. Quando ho un problema, cerco di affrontarlo come fosse l’avversario, facendo in modo di non farmi battere e, se dovesse accadere, cerco di trovare una strada alternativa.
Per me la comfort zone è il male assoluto: se hai paura di qualcosa, quella paura diventa devastante perché non ti fa più vivere. Io per primo ho paura ogni giorno, ma ogni giorno la sconfiggo perché non voglio che abbia la meglio su di me”.
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