Ha conquistato tutti con la sua voce. Un marchio di fabbrica, riconoscibile. Che abbia il volto di Pierce Brosnan, Keanu Reeves o Russell Crowe, tocca le corde dell’emozione e ci fa ridere, commuovere, indignare. Un talento versatile, declinato in progetti audaci che spaziano dalla recitazione alla narrazione di eventi, dai documentari tivù ai programmi d’intrattenimento e alla conduzione radiofonica. Alla continua ricerca di nuove sfide umane e artistiche, non possiamo non amarlo. Soprattutto quando, con quell’espressione tipica da ‘gladiatore’, pronuncia la mitica frase: “Al mio segnale scatenate l’inferno”. Luca Ward sbarca sull’Isola con “Il talento di essere tutti o nessuno” per la regia di Luca Vecchi. Prodotto da Skyline, coprodotto da La Contrada e distribuito da Savà Produzioni Creative, lo spettacolo andrà in scena domani alle 21 al Teatro Mandanaci di Barcellona Pozzo di Gotto. “La Sicilia l’ho circumnavigata due o tre volte in barca e poi, anni fa, l’ho girata all’interno con un camper. La conosco davvero molto bene e ci vengo sempre volentieri”.
Porta in scena la capacità e la benedizione di essere all’altezza di emergere e spiccare, come la fortuna di potersi divincolare muovendosi suadente nell’ombra, strisciando nelle orecchie degli spettatori per concedersi il lusso poi di dissolversi. Di poter scomparire. Proprio come fa un prestigiatore. O un marinaio in mare aperto o nel profondo degli abissi.
“Nella mia famiglia, dalla parte di mio padre che andava in giro sulla sua barchetta per il Mediterraneo, sono armatori di navi. Mio nonno era comandante della marina mercantile americana… Quello col mare, per me, è un legame indissolubile”.
Ha dalla sua il talento di essere tutti, la fortuna di essere nessuno.
“Ho fatto talmente tante cose che, alla fine, verrebbe da dire ‘ma chi è questo, non si sa’. Ho doppiato un’infinità di attori, centinaia e centinaia di ore di filmati. Mi chiamano Il gladiatore, Il corvo, James Bond…”.
Com’è raccontare sé stessi attraverso la voce dello schermo?
“È l’aspetto più facile: sei Luca, te stesso, e vai in scena. È come invitare un po’ di persone a casa tua, dove racconti una serie di storie, aneddoti, fatti anche estremamente curiosi che il pubblico non conosce”.
Un mestiere particolare, che ha bisogno di attenzioni, cure, regole.
“Come diceva Vittorio Gassman, dobbiamo essere degli atleti, altrimenti non ce la facciamo a sostenere i ritmi a cui siamo sottoposti. Abbiamo a che fare con centinaia di pagine da mandare a memoria, sveglie alle tre della mattina, stare in piedi per diciotto, venti, a volte anche trenta ore di fila, dipende dalla lavorazione. Quindi, se non sei un atleta, tutto questo viene meno, così come l’affidabilità. E, se manca l’affidabilità, manca tutto”.
Alla base lo studio.
“Non si diventa attori dalla sera alla mattina. C’è bisogno di una preparazione costante per interpretare ogni giorno ruoli diversi e situazioni differenti. Oggi, invece, si ha come l’impressione che basti fare ‘la grande cognata’ per saper recitare. Infatti, a parte poche eccezioni, il nostro panorama attoriale si è decisamente impoverito”.
Cosa si renderebbe necessario per risollevare le sorti del nostro cinema?
“Cambiare completamente strada. Bisogna ringiovanirlo, puntare su nomi nuovi, sconosciuti. Abbiamo un cinema che è fatto da dieci persone e, per quanto capaci, magari, dopo un po’, vorresti vedere altro. Anche gli argomenti trattati sono sempre quelli, preconfezionati. Manca il rinnovamento e soprattutto non ci sono più i grandi produttori che, prima di realizzare un progetto, dovevano stare attenti ai costi, perché – senza finanziamenti pubblici – se sbagliavano, ci rimettevano di tasca. Allora realizzavano dei film in cui credevano fermamente. Poi il botteghino li premiava con gli incassi”.
Keanu Reeves, Pierce Brosnan, Russell Crowe, Hugh Grant, Samuel L. Jackson. Artisti di calibro internazionale accomunati dalla stessa voce, riconoscibile: un orgoglio tutto italiano.
“Se c’è una cosa che mi fa particolarmente arrabbiare, è quando qualcuno sbandiera ai quattro venti di vergognarsi di essere italiano. Lì scatto, ma come ti permetti di parlare male della tua nazione? Gli leverei il passaporto! Siamo un Paese meraviglioso, straordinario, tra i più ammirati e invidiati al mondo, con un popolo pazzesco che sopporta tutto, si dà da fare, rimboccandosi le maniche quando serve, capace di ricominciare da zero e di ricostruire. È la nostra storia che ce lo insegna. Certo, non significa avere il prosciutto sugli occhi. Ma, valutati pro e contro, posso dire a gran voce di essere orgoglioso della mia terra, dei miei compatrioti, dei miei cittadini. Da Nord a Sud, senza distinzioni”.
Ha spaziato dal ruolo del padre di famiglia al personaggio cattivo e spietato. L’importante è che ci sia una storia da raccontare. Luca Ward, che storia si racconta ogni giorno?
“È la vita che mi racconta qualcosa di meraviglioso ogni giorno. Mi affaccio alla mia giornata ed è lei che poi mi cattura con storie sempre diverse”.
Dal 2018 è la voce narrante in ‘Ulisse – Il piacere della scoperta’.
“È una trasmissione che vende in tutto il mondo, e questo la dice lunga su quello che dovrebbero fare i nostri produttori per riuscire a valicare le Alpi. Resto ammirato di come Alberto Angela sia riuscito a prendere, in qualche modo, il testimone del papà che è stato un grande divulgatore. E lui non è da meno”.
La carriera si costruisce sui no. Qual è stato quello che le è costato di più?
“Una messinscena che mi avrebbe visto sul palco con Rossella Falk. All’epoca avevo trentaquattro-trentacinque anni. Lei era un gigante assoluto del teatro, io, in confronto, un neofita. Avevo vinto il provino. Lei era sicura della sua scelta, ma non ero sicuro io di me. Ebbi paura e mi tirai indietro. Al mio posto, presero Stefano Dionisi che, grazie a quello spettacolo, diventò poi l’attore affermato che è oggi”.
Ha qualche rimpianto?
“No, nessuno. Forse, avrei fatto qualche figlio in più. Ma non si può decidere da soli”.
Il successo è un delicato gioco di equilibri, che s’impara giorno dopo giorno, facendo una grande ricerca su sé stessi. Si sente un bravo equilibrista?
“Se qualcosa ho imparato sul successo è che non va ricercato. Arriva quando meno te lo aspetti e lo devi saper gestire. Se non siamo pronti, preparati, se non conosciamo approfonditamente il nostro settore, rischia di essere un’arma a doppio taglio: da una parte ti dà e da una parte ti leva. Per un girovago come me, un marinaio, allora diventa fondamentale la famiglia: il porto sicuro a cui fare sempre ritorno”.

