Nonostante l’avvento delle piattaforme streaming il 2019 è stato un anno di rilancio per il settore. Anche il 2020 era partito bene, poi è arrivata la pandemia. I ristori e la speranza di riaprire non bastano. Il comparto sta crollando e con esso rischiano tanti posti di lavoro
In principio fu lo streaming: qualche anno fa, in una diatriba che si trascina ancora oggi tra i più ostinati, la nascita e la diffusione dalle piattaforme d’intrattenimento digitale aveva fatto urlare alla “morte del cinema”. Era il 2018 quando il Festival di Cannes bandiva dalla competizione i film targati Netflix. Erano, in effetti, anni molto difficili per le sale cinematografiche. Tra il 2016 e il 2018 erano crollati in tutta Italia incassi e presenze. Se nel 2016 il botteghino si era chiuso con 661.296.025 euro di incassi e 105.293.46 presenze, nel 2017 gli incassi erano scesi a 584.554.941 euro e le presenze a 92.246.159. Peggio ancora era andata nel 2018: incassi a giù a 555 milioni e 85.936.642 presenze (dati Cinetel- Centro studi e ricerche).
Si era urlato, dicevamo, alla morte delle sale. Ma quella che era stata etichettata, così vuole la leggenda, come “un’invenzione senza futuro” non stava soccombendo sotto i colpi delle “perfide” piattaforme web. Anzi. La sua magia era rimasta immutata e gli italiani la stavano riscoprendo. Guardando ai numeri, infatti, il cliché dell’atmosfera delle sale, unica e impossibile da riprodurre in casa, tanto caro ai “puristi”, non è forse tanto lontano dalla verità.
Per le sale, Netflix o no, il 2019 era stato l’anno della ripresa. Dopo “il buio”, le presenze registrate si erano assestate poco sotto i 100 milioni (97.685.815 per l’esattezza) e gli incassi erano schizzati su a 635.936.579 euro.
Anche il 2020 era partito con il piede giusto, poi è arrivato il Covid. Tutto si è fermato e le sale cinematografiche sono state tra le prime attività ad abbassare le saracinesche. Adesso, mentre tutto riparte, i cinema sembrano non vedere ancora la luce in fondo al tunnel.
Le perdite economiche sono spaventose. Lo scorso anno al box office italiano si sono incassati 182.509.209 euro per un numero di presenze in sala pari a 28.140.682. Rispetto al 2019 si è registrata una diminuzione degli incassi e delle presenze rispettivamente del 71,30 e del 71,18%. A certificarlo è l’ultimo report sul mercato cinematografico italiano di Cinetel. “Determinante – si legge nel report – è stata la chiusura dei cinema per più di cinque mesi a causa dell’emergenza sanitaria a partire, in alcune regioni, dal 24 febbraio e poi in tutto il territorio dall’8 di marzo sino al 14 giugno e poi nuovamente dal 25 di ottobre”. I dati del 2020 sarebbero stati anche peggiori se non fosse per i due mesi iniziali dell’anno in cui il Covid era un problema quasi sconosciuto: alla fine del mese di febbraio, infatti, il mercato stava crescendo del 20% in termini di incassi rispetto al 2019. Dopo, il disastro. Nel report, infatti, viene specificato che “se si considerano i dati a partire dal giorno 8 di marzo l’incasso registrato nel 2020 è stato di € 33.770.655 per un numero di presenze pari a 5.356.204 biglietti venduti. Rispetto allo stesso periodo del 2019 si tratta di calo del 93,20% degli incassi e del 92,96% delle presenze”.
Ma andare al cinema è davvero così pericoloso? Nei mesi estivi, quando tutto o quasi era concesso, mentre ci si accalcava nelle discoteche e nelle piazze, le sale adottavano protocolli molto rigidi: distanziamento, mascherine in sala, tessera sanitaria all’ingresso per tracciare eventuali contagi. Le stesse procedure messe in campo per concerti, sale teatrali e spettacoli dal vivo. Il risultato? Secondo un’indagine elaborata da Agis (l’Associazione generale italiana per lo spettacolo) “su 347.262 spettatori in 2.782 spettacoli monitorati nel periodo che va dal 15 giugno – giorno della riapertura dopo il lockdown – a inizio ottobre, si registra un solo caso di contagio da Covid-19 sulla base delle segnalazioni pervenute dalle Asl – territoriali. Una percentuale, questa, pari allo zero e assolutamente irrilevante, che testimonia quanto i luoghi che continuano a ospitare lo spettacolo siano assolutamente sicuri”.
Quanto ci costa la chiusura delle sale cinematografiche? Se in termini di svago, socialità e arricchimento personale, il danno non è quantificabile, quello che possiamo provare a quantificare è la perdita in termini economici. Volendo anche solo per un momento tralasciare il grosso del problema, perdita di posti di lavoro e sale che rischiano di non riaprire più, bisogna tener presente che ogni biglietto venduto per la visione di un film ha un impatto positivo sull’economia locale.
A certificarlo è una ricerca di qualche anno fa realizzata da Agis e Università Iulm sull’impatto degli eventi culturali e gli spettacoli sull’economia del territorio. “Sale cinematografiche – spiega il report – teatri, festival sono in grado di stimolare l’economia del territorio. Gli eventi culturali, al pari di un’infrastruttura o di un investimento immobiliare, attivano processi virtuosi di incremento della domanda di beni e servizi nel contesto interessato dalla struttura o dalla manifestazione. Alle spese di gestione e organizzazione si affiancano le spese degli spettatori per i quali l’uscita al cinema o a teatro diventa occasione di socialità (dall’aperitivo alla cena, al gioco per i più piccoli) o di shopping quando la struttura è in un contesto commerciale naturale (centro città) o in un centro commerciale”. L’indagine calcola che “ogni euro speso nella gestione di una struttura cinematografica o teatrale genera 1,7 euro di produzione di beni intermedi sul territorio e 2,4 euro di valore aggiunto. Con una spesa complessiva di gestione pari a 13,7 milioni di euro si attivano 23,8 milioni di euro di produzione di beni intermedi, 10,9 milioni di euro di valore aggiunto e 207 unità di lavoro”. “Oltre al biglietto di ingresso – quindi – l’attività di cinema e teatro genera, infatti, una spesa media a spettatore di 53 euro che vale complessivamente 5,3 miliardi di euro di spese aggiuntive in beni e servizi”.
Con la cultura, insomma, si mangia. Eccome. E adesso che tutto sta ripartendo, dai musei alle palestre, il cinema non si può più ignorare. Il rischio è far cadere il settore in una crisi totale, dove a soccombere, verosimilmente, saranno le piccole sale, già affossate dalla concorrenza dei “colossi” e da una crisi economica che non possono più gestire.
La parola al presidente Anec Palermo, Andrea Peria
“Se chiude una sala, crolla l’indotto”
Le sale cinematografiche sono state colpite duramente dalle limitazioni imposte per l’emergenza da Covid-19. E ogni giorno che passa cresce l’ansia degli esercenti per il futuro del settore.
“In un anno di chiusura coattiva – spiega Andrea Peria, gestore dei cinema Arlecchino multisala e Ariston di Palermo, anche vice presidente della Camera di Commercio Palermo-Enna, presidente di Anec Palermo e vice presidente di Agis regionale, le associazioni degli esercenti cinema e spettacolo – abbiamo lavorato quattro mesi su dodici. I ristori per le sale cinematografiche ci hanno consentito di approntare i pagamenti relativi ai mutui, agli affitti e a tutto l’occorrente. Con gli aiuti economici abbiamo coperto il periodo marzo-dicembre 2020. Le risorse sono servite solo a metterci nelle condizioni di essere pronti per la ripartenza, ma il problema adesso è quando e come sarà effettivamente possibile ripartire”.
“Adesso – aggiunge – siamo molto preoccupati per il primo semestre 2021. Siamo in attesa di un nuovo annunciato ristoro da parte del Governo nazionale e, soprattutto, attendiamo di sapere quando potremo riaprire con certezza”.
Per la riapertura, si sta parlando di fine marzo-inizio aprile. “Se da un lato è una buona notizia – afferma Peria – dall’altro ci preoccupa, perché con il Covid c’è stata anche una mancanza di produzione di film. Non si è fermata soltanto la filiera delle sale, ma anche quella della produzione. Anche in America, da cui prendiamo molti film. Secondo noi ad aprile avremo poco da proporre, in estate ci sarà una parentesi con i cinema all’aperto, ma la vera ripartenza sarà a settembre”.
“A questo punto – sottolinea ancora Peria – mi chiedo: in mancanza di ulteriori ristori, quante sale cinematografiche saranno in grado di riaprire? Mi sto iniziando a porre un serio problema per i miei colleghi, perché la chiusura forzata si è allungata parecchio”.
Il Covid ha messo in crisi l’arte, la cultura, il lavoro. Il comparto culturale cinematografico in Sicilia conta 127 imprese. “In Sicilia – conclude – il settore del cinema conta mille dipendenti, ma se chiude una sala crolla anche tutto l’indotto”.
Giovanna Naccari
Intervista ad Alberto Surrentino, gestore del King di Catania
“Sia garantita la sopravvivenza del settore”
Riaprono musei, ristoranti, forse palestre e piscine ma non i cinema. Come mai secondo voi?
“Credo non vi sia nessuna ragione reale. In molti Paesi europei i cinema sono aperti (in Serbia da settembre non hanno mai chiuso) eppure questo non comporta incidenza sui contagi. C’è un antico pregiudizio sul cinema, come per tutte le cose dove c’è il buio: basti pensare che ancora nel 2021 esiste in Italia il visto censura (che potrebbe anche essere negato) per le proiezioni pubbliche quando ormai la tecnologia ha superato qualunque possibilità di controllo dello Stato su ciò che i cittadini possono vedere. Lo stesso ministro Franceschini ha dichiarato che nei teatri e nei cinema c’erano misure di sicurezza rigide che si sono rivelate efficienti. Se le misure erano efficienti perché abbiamo chiuso? Perché, passato il picco dei contagi non abbiamo riaperto? Si resta basiti di fronte a queste candide ammissioni di essere i luoghi meglio controllabili e di contro di essere sempre i primi a chiudere e gli ultimi a riaprire”.
Il cinema è uno dei settori che ha pagato di più le ritorsioni della pandemia, che impatto ha avuto su di voi? Le ricadute in termini economici sono quantificabili?
“Quantificare in termini assoluti è difficile, ogni cinema sconta una sua peculiarità. Certo è che un’attività economica vive di programmazione e se di punto in bianco viene chiusa ci sono dei debiti, anche rilevanti, che non possono più essere onorati e a questi si aggiungono quelli che si accumulano nel periodo di chiusura come affitto e bollette. Noi per esempio abbiamo fatto spese importanti per delle migliorie nel locale, spese che dovevano essere riassorbite secondo un piano che adesso è saltato. Sono debiti che non sappiamo quando e se potranno essere riassorbiti. Poi ci sono i fornitori, in larga misura i noleggiatori dei film, anche loro in difficoltà e che cercano di rientrare dove possono, ma noi non avendo più entrate non siamo in grado di far fronte a queste obbligazioni. Senza contare il rischio di disaffezione del pubblico e l’incognita sulle presenze quando si riaprirà. Ci sono stati i ristori, è vero, ma sono soldi che a oggi riguardano solo il periodo primaverile, mentre nulla è pervenuto, e credo neanche stanziato, per la chiusura del 26 ottobre”.
Andare al cinema in sicurezza è possibile? Come?
“Il cinema era già in sicurezza. Al King avevamo uno stacco di un’ora tra uno spettacolo e l’altro (ridotti da tre a due), c’era l’obbligo di fornire i propri dati con esibizione di tessera sanitaria, che venivano tenuti per 14 giorni per garantire la tracciabilità, c’era l’obbligo di ingresso con la mascherina e poi in sala, essendo una fruizione statica ed essendo le persone collocate con il posto assegnato, c’era l’assoluta garanzia di rispetto delle distanze. A questo si aggiunga il ricambio d’aria tenuto costantemente operativo. Le condizioni di sicurezza c’erano tutte e infatti molti clienti ci hanno ringraziato per il fatto di sentirsi veramente sicuri”.
Quali interventi, a prescindere dalla riapertura, servirebbero per sostenere il settore? Basta la “politica dei ristori”?
“La politica dei ristori ha avuto il grosso punto debole della tempistica: gli aiuti devono pervenire contestualmente al danno. L’affitto matura mese per mese, i debiti pregressi possono anche portare a subire azioni esecutive. L’elemento tempo è quindi fondamentale. Altro punto debole è stato quello di prevedere il credito d’imposta sugli affitti ma senza rendere obbligatoria l’accettazione da parte delle banche o dei creditori stessi. In pratica oggi l’impresa matura un credito d’imposta che non può utilizzare per pagare i propri debiti in quanto quasi nessuno lo vuole ceduto. Agire in questo senso avrebbe cambiato la situazione”.
Superata l’emergenza, gli spettatori torneranno al cinema?
“Molti dei nostri clienti ci scrivono manifestandoci la loro voglia di tornare in sala. Sono sicuro che gli spettatori, superata l’emergenza, torneranno in massa al cinema. è dal 1954 che si dice che la gente preferirà stare a casa. è stato ripetuto negli anni Ottanta con l’arrivo della tv commerciale e nel nuovo millennio con lo streaming. Non è mai accaduto. è cambiato il modo di approcciarsi al cinema, si chiede alla sala di più di quello che si chiedeva quaranta o ottanta anni fa. La sala non è più l’unico luogo dove fruire del film e quindi è normale che il pubblico sia più esigente. Soddisfatto questo requisito sono sicuro che anche stavolta, come in passato, il cinema in sala sopravviverà. Il problema è garantire che alla fine della emergenza le sale siano ancora in vita. E questo non dipende da noi”. (ef)