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L’Unione europea contro le discriminazioni di genere

L’Unione europea contro le discriminazioni di genere
carcere

Eliminata un’anacronistica disparità di trattamento in danno alle donne per l’accesso ai ruoli di ispettore del corpo della Polizia penitenziaria

Il diritto dell’Unione europea non deve essere considerato un intralcio per chi governa, una sorta di intruso davanti cui spesso la politica non riesce a trattenere un moto di fastidio. Invece, come dimostra la sentenza scelta per l’Angolo di oggi, concorre a rafforzare le garanzie già previste in costituzione a tutela dei diritti fondamentali.

Con la recente sentenza n. 181 del 2024 la Corte costituzionale ha eliminato un’anacronistica disparità di trattamento in danno alle donne per l’accesso ai ruoli di ispettore del corpo della Polizia penitenziaria. Alcune disposizioni del Dlgs n.95 del 2017, che disciplina la materia, prevedevano che i posti nel ruolo di ispettore, suddivisi per sesso, fossero molto più numerosi per gli uomini che per le donne (2.640 a 375). Ne conseguiva che nei concorsi per i posti di ispettore i concorrenti di sesso maschile, sebbene collocati in graduatoria dopo le concorrenti, le scavalcavano grazie al maggior numero di posti loro riservati.

A seguito del ricorso di alcune escluse dalla graduatoria, il Consiglio di Stato sollevava la questione di legittimità costituzionale delle norme, ritenendole in contrasto con l’art. 3 della Costituzione che vieta discriminazioni in base al sesso e con l’art. 117, 1° comma della Carta che impone al legislatore il rispetto delle norme dell’Unione europea.

A tale proposito, i Trattati europei e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Cdfue) nonché le direttive 76/207/Cee e 2006/54/Ce sulla parità di trattamento e le pari opportunità fra uomini e donne in materia di occupazione e di impiego pongono il principio della non discriminazione uomo-donna tanto per l’accesso al lavoro che nello svolgimento della carriera. Poiché si tratta di norme immediatamente applicabili ai soggetti interessati, quelle nazionali con esse confliggenti, come appunto le denunciate nel caso di specie, avrebbero pertanto potuto essere “disapplicate” dal giudice del caso concreto a vantaggio delle norme euro-unionali, come insegna una consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Ue recepita dalla Corte costituzionale.

Il giudice ha invece ritenuto di investire della questione di legittimità la Corte costituzionale che, accertato il cosiddetto “tono costituzionale” della stessa, visto che il principio di eguaglianza garantito dall’ordinamento dell’Unione interseca il medesimo principio posto dall’art. 3 della Costituzione, ha ritenuto di poterla decidere nel merito, sottolineando il vantaggio che ne derivava per la certezza del diritto poiché l’effetto erga omnes di una sentenza di accoglimento del giudice delle leggi elimina una volta per tutte la norma incostituzionale che invece, permanendo in vigore avrebbe potuto essere disapplicata o meno secondo l’interpretazione datane dai diversi giudici, continuando così a produrre i suoi effetti discriminatori.

La direttiva 2006/54/Ce prevede che in casi in cui il lavoro richieda specifiche caratteristiche proprie all’uno o all’altro sesso le differenziazioni non sono discriminatorie. La Corte costituzionale rileva tuttavia che, poiché le mansioni spettanti agli ispettori, di controllo, indirizzo, supervisione dell’operato del personale di custodia non richiedono il diretto contatto dei reclusi, dove l’identità di genere tra l’operatore penitenziario e il soggetto detenuto ha una sua ragion d’essere, distinzioni uomo-donna sono in questo caso prive di fondamento e come tali discriminatorie. Pertanto le norme che le prevedono sono dichiarate incostituzionali alla stregua di entrambi i parametri invocati.

Giovanni Cattarino
già Consigliere della Corte costituzionale e Capo Ufficio Stampa