Raffaele Lombardo da Grammichele è un uomo definitivamente libero. La Cassazione lo ha definitivamente assolto, dopo aver rigettato il corposo, appassionato, forse oltre il limite dell’interpretazione del diritto, ricorso della Procura Generale di Catania.
È un uomo libero dopo una dozzina d’anni di processi. Lui non si dice felice, ma amareggiato, per i dodici anni politici a lui sottratti e non restituibili. È difficile fare felice un uomo come Raffaele, uomo complesso, se non contorto come un ulivo delle sue campagne. È un uomo che vive di politica nel senso fisiologico e non economico del termine. E gliel’hanno negata per 12 anni. Per uno come lui è come stare in coma vegetativo. Certo il suo movimento non si è spento, nonostante il suo impedimento, i suoi si sono candidati e le soglie di sbarramento sono state superate. Ma lui è lui. Una volta lo andai a trovare dopo un arresto per turbativa di concorso. Fu il suo primo inciampo, oltre vent’anni fa. Mi ricevette con un cardigan beige già obsoleto per quegli anni. Era carico a molla, vinse le europee e divenne vice sindaco di Scapagnini in un amen. L’ex giovane turco era tornato.
Poi diventò “Arraffaele”, si prese tutto, partiti, uomini, fino allo scranno più ambito. La Presidenza della Regione. Lì divenne il Signornò, diffidente fino alle midolla e accentratore fino all’osso, diceva no su tutto. La Regione di Cuffaro, che aveva fatto record di spesa comunitaria, con lui si fermò. Perché dare sti soldi a persone e società così, per uno nato con le storie di Verga e i Malavoglia? Gli sembrava un peccato che gridava vendetta al cospetto di Dio.
Poi arrivò la magistratura per Don Raffaele, nonostante, e forse proprio per questo, che si fosse apparentato con il giustiziere Lumia. La sua è una storia che fa parte di una Via Crucis tutta democristiana, nonostante la sua conversione, come Paolo di Tarso, all’Autonomismo. In principio fu Mannino, il ministro, suo mentore politico, poi toccò ai suoi dioscuri, Cuffaro e per ultimo Lombardo. C’è del metodo e troppe coincidenze, ma di fatto fu abbattuta, come birilli uno dopo l’altro, tutta una corrente, la più forte della DC siciliana della fine degli anni ottanta. Il concorso esterno, oggi giuridicamente debolissimo, fu l’arma in mano ad una parte molto forte della magistratura militante. Vincente più sul piano politico che giudiziario. Perché se uno lo mascarii di mafia, poi politicamente è come un lebbroso. Poi, se dopo lustri, rimane libero ha finito la sua vis e non può fare danno. Forse.
Questo sicuramente è successo dopo trent’anni di processi per Mannino. Cuffaro ha scontato, unico del suo genere, ed è ritornato. Raffaele? Lui ha detto che non si ricandida, ma lui fa sempre il contrario di ciò che dice. Per lui la verità è qualcosa che sussurra a se stesso, quando è certo di essere solo nella sua campagna, magari la dice a degli animali non troppo loquaci. Quello che dice agli altri, soprattutto alla stampa, non conta nulla.
Lo rivedremo in pista? Sicuramente non alle elezioni di Catania, anche se determinerà, in un senso o nell’altro, il risultato. La lucina accesa fino a tardi della sua segreteria a piazza Galatea ne è spia indiscussa. Poi ci sono le provinciali ad ottobre, e lì avanzerà pretese forti, fortissime, e poi le Europee. E lì lo vedremo direttamente in campo. Spremerà i suoi come quelle macchinette per fare le spremute dei chioschi catanesi.
Raffaele torna, torna, siatene certi, per lui, medico, la politica è più di una malattia, è fisiopatologia.
Così è se vi pare.