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M come Manuale

M come Manuale

Bisogna aprire gli occhi, giudicare con la propria testa, riconoscere e analizzare ciò a cui è bene o male obbedire

“Per farla finita con se stessi. Antimanuale di crescita personale” è un agile, lucido, intenso saggio di Laurent de Sutter, filosofo vigoroso e attento alle confortevoli trappole del nostro tempo. Viviamo nell’epoca della manualistica, della misurazione estrema, imperano codici, dispositivi, cataloghi, inventari, diari di bordo in cui ci viene detto cosa fare, come farlo, quando farlo. Tutto è misura e archiviazione, parola che rinvia alla gerarchia, al separare, togliere, selezionare, amputando parti scomode a favore del consolidamento di pratiche, gesti, linguaggi forzatamente condivisi.

Scrive Laurent de Sutter: “Vogliamo farla finita con noi stessi, perché vogliamo farla finita con l’addestramento militare, con gli esercizi spirituali, con il doversi riconciliare, con il ritrovarsi strappalacrime, con la lamentosa pedanteria della cura, con la triste soddisfazione di essere una merda. Sì, non vogliamo essere niente – perché preferiamo abbracciare i futuri che si aprono davanti a noi da ogni incontro presentatoci dal caso, per esplorare i mondi ignoti di ciò che non conosciamo, per scoprire, infine, i poteri di ciò di cui non sappiamo ancora di essere capaci”.

Dove la prestazione ha sempre e comunque una parola decisiva, dove la vocazione è silente poiché, quando va bene, conta l’integrazione nelle procedure eterodirette, altrimenti la mera sopravvivenza, la preservazione minimale della nuda vita, dove l’interrogativo più profondamente umano, se ci sia dell’altro, è ridotto a divertimento filosofico disincarnato, la questione di un possibile abbracciare i futuri diventa oscena. E allora, non è forse compito della filosofia, ma anche di ogni forma di conoscenza, come non si è stancato di ripetere Michel Foucault, quello di capire fino a che punto sia possibile “pensare in modo diverso”? Un pensiero critico che si fa esperienza umana, delegittimazione attiva dell’esistente, dinamismo esistenziale, pratica di vita comunitaria, testimonianza di legittima rabbia, prassi passionale e immanente, sostanza comportamentale.

A partire da questo pensiero nuovo, immanente, trasformativo, impegnato, contro ogni logica manualistica, che incorpora, prevede, orienta, è forse possibile organizzare una comunità operosa, forme di godimento vocazionali e diffuse, orientazioni soggettive del desiderio, legittimazioni del poter dire no, autentica contestazione del carattere intimidatorio, definitivo del mondo.

Tutto questo vale soprattutto per i giovani, poiché nella melassa di proposte di corsi che dovrebbero promuovere l’affettività, dei vari orientamenti esistenziali, degli immancabili progetti educativi, in cui tutti si occupano di scuola, a partire da chi l’ha frequentata decine di anni prima, poiché il desiderio di visibilità coglie sempre il propizio spirito del tempo, forse l’unica cosa che possiamo trasmettere loro è l’interrogarsi sempre sulla causa e il fine ultimo di un ordine imposto, di una manualistica della vita.

George Didi-Huberman lo dice in modo esplicito: “Non bisogna obbedire ciecamente […] bisogna aprire gli occhi, giudicare con la propria testa, riconoscere e analizzare ciò a cui è bene o male obbedire”.