Completamente privo di ironia e scolpito visivamente in modo così sfacciatamente diretto da eliminare ogni distanza tra pubblico e profilmico
MADRES PARALELAS
Regia di Pedro Almodovar, con Penelope Cruz (Janis), Milena Smit (Ana), Rossy De Palma (Elena).
Spagna 2021, 120’.
Distribuzione: Warner Bros Italia
Senza abbandonare la struttura del melodramma, e farcendo la sceneggiatura di colpi di scena, crimini familiari e tragiche evoluzioni nelle relazioni tra i personaggi, Pedro Almodovar con “Madres Paralelas” abbandona l’autocommiserazione compiaciuta e un po’ stantia di “Dolor y Gloria” per girare il suo film più politico, completamente privo di ironia e scolpito visivamente in modo così sfacciatamente diretto da eliminare ogni distanza tra pubblico e profilmico.
Luminoso, seducente, malizioso e pieno di idee visive come i film del periodo d’oro del regista spagnolo (“Tutto su mia madre” e “Parla con lei”), si rivela allo stesso tempo un disarmante e commovente tributo alla maternità e un richiamo doloroso alle responsabilità pubbliche e private, uno scavo esistenziale dentro le maglie della memoria storica di un paese che, con l’edonismo sfacciato di cui anche Almodovar si è fatto emblema, non ha ancora fatto i conti con un passato che ha diviso il suo popolo in vittime e carnefici.
Janis e Ana sono due madri single. Si incontrano all’ospedale e partoriscono nello stesso istante. Da quel momento le loro vite saranno incrociate per sempre. Sullo sfondo, lo scavo di una fossa comune, un buco nero su un’anonima collina in cui i militari di Franco cancellarono la vita di una decina tra dissidenti e omosessuali, tra cui il bisnonno di Janis.
Non c’è possibilità di non prendere una posizione per i personaggi di Almodovar, sono chiamati tutti all’azione. E il monito sembra esteso al pubblico. I primissimi piani isolano i volti in modo deformante, con effetti macro che in genere si usano per fotografare il cibo, per evocare una sensazione di desiderio, di appetito. Un sapiente effetto di dissolvenza su nero isola la protagonista lasciandola sprofondare nel buio, l’esperienza della morte con cui dovrà fare necessariamente i conti. Qui naturalmente c’è molto del precedente cinema di Almodovar, compresa la spinta vitale che emerge dall’ombra per dare nuova vita a tutto (e in effetti una nuova vita la sceneggiatura la prevede sul serio), ma il finale poetico e di impegno civile regala un momento di catarsi collettiva che è unico, originale, e scuote nel profondo.
Voto: ☺☺☺☺☺