Il colpo sarebbe arrivato, bisognava soltanto capire quando. Il blitz eseguito ieri dai carabinieri ha riportato Aci Catena al centro della cronaca giudiziaria, dopo qualche anno d’assenza. Ma nella cittadina che ha legato per decenni il proprio nome al limone verdello e che più di recente ha scelto di omaggiare il passato dei principi Riggio, ad avere la sensazione che la procura di Catania potesse presto tornare a guardare all’interno della malavita locale erano in tanti.
Il sismografo all’interno dei clan locali – Santapaola-Ercolano e Laudani – era scattato alla scoperta della notizia, rivelata a gennaio dello scorso anno dal Quotidiano di Sicilia, della decisione di Stefano Sciuto di collaborare con la giustizia. Un percorso non senza qualche intoppo, ma che è servito ai magistrati per aggiornare la fotografia della mafia catenota.
L’importanza della figura del 42enne è dovuta all’albero genealogico: l’uomo è figlio di Sebastiano Sciuto, meglio conosciuto come Nuccio Coscia, storico referente della famiglia Santapaola-Ercolano nel territorio delle Aci e morto da ergastolano nel 2018.
All’ombra del padre ma anche dello zio Antonino Patanè – qualche anno fa condannato nel processo Odissea – Stefano Sciuto ha scalato le gerarchie interne del gruppo locale che ha nei Santapaola-Ercolano di Picanello il proprio riferimento nel capoluogo. Tanto basta per capire come la scoperta della sua nuova dimensione di collaboratore di giustizia abbia scosso gli ambienti criminali locali.
Piazze di spaccio e delivery
L’inchiesta della procura etnea, ribattezzata Cubisia dal nome del quartiere in cui Sciuto ha sempre vissuto, ha al centro un’articolata attività di vendita di sostanze stupefacenti che avveniva tanto in centro quanto alla periferia del paese.
Gli investigatori hanno individuato nella villa comunale una delle piazze di spaccio presidiata dai ragazzi di cui Stefano Sciuto si era circondato, nel momento in cui era tornato in libertà. La voglia di tornare protagonista lo aveva portato anche a dare un nome che identificasse il gruppo – Cubani – con tanto di diffusione sui social della bandiera del Paese centroamericano come simbolo di riconoscimento.
Al vertice operativo del gruppo ci sarebbero stati, secondo la procura, Simone Scalia e i fratelli Carmelo e Ottavio Grasso. I tre, molto vicini a Sciuto, avrebbero proseguito le attività di spaccio anche quando del loro capo si erano perse le tracce. In un primo tempo perché tornato in carcere per scontare un residuo di pena, e dopo per via della decisione di saltare il fosso.
Alle loro dipendenze ci sarebbero state una serie di persone addette a vari compiti: dalle vedette a chi si occupava delle consegna a casa di quei clienti che preferivano ordinare le dosi di skunk, marijuana e cocaina tramite cellulare, fino a chi periodicamente era chiamato ad approvvigionarsi della droga da smerciare andandola a comprare a Catania.
L’inchiesta, oltre al sequestro di importanti quantitativi di droga, è servita anche per accertare come gli indagati fossero in possesso anche di armi. A finire sotto la lente degli inquirenti è stato anche un brutale pestaggio effettuato nella zona di Reitana, ai danni di Cristian Buffardeci, catanese anche lui coinvolto nel giro dello spaccio.
La conoscenza di Ciccio Napoli
A riprova di come Stefano Sciuto abbia avuto la capacità di allacciare rapporti di alto livello all’interno delle gerarchie interne ai Santapola-Ercolano c’è la conoscenza con Francesco Napoli, colui che per diverso tempo è stato il capo provinciale di Cosa Nostra catanese.
“Nel primo periodo successivo alla mia scarcerazione, mi sono incontrato con Napoli e Orazio Finocchiaro, e ricordo che entrambi mi rivelarono che secondo loro io ero già monitorato dalla Dda di Catania. Non so dire sulla base di quale elemento ritenessero che fossi già indagato sebbene uscito da poco dal carcere, ma posso dire che Ciccio Napoli era da sempre convinto che i Ros indagassero su di lui e sui soggetti a lui vicini”.
Da Napoli, condannato a 14 anni nel processo Sangue Blu, così chiamato per i legami di sangue con la famiglia Santapaola-Ercolano, Sciuto avrebbe anche comprato droga. “Abbiamo acquistato una partita di cocaina per circa 34mila euro nonché due chili di skunk per circa 11mila euro”, ha dichiarato ai magistrati.
Napoli sarebbe entrato in gioco anche in occasione del pestaggio subito da Buffardeci, con l’intento di cercare di contenere le pretese del gruppo catenoto. Un desiderio non esaudito, considerato che la vittima, aggredita da più persone, riportò fratture costali multiple e uno pneumotorace, con i medici che disposero una prognosi di un mese.
Cosa accadrà adesso?
Dopo gli arresti di ieri, è lecito chiedersi quali saranno gli effetti della nuova inchiesta sulla criminalità organizzata catenota. La frangia Santapaola-Ercolano, infatti, era stata già parzialmente decapitata in occasione del blitz Odissea. La domanda che aleggia è sempre la stessa: Stefano Sciuto ha parlato anche di altro?

