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Mafia, l’affronto al boss Orazio Scuto mentre era dietro le sbarre: “Lo voglio trovare tutto ingessato”

Mafia, l’affronto al boss Orazio Scuto mentre era dietro le sbarre: “Lo voglio trovare tutto ingessato”
Operazione Lumia, Scuto – da video operazione

Le dinamiche interne al gruppo guidato dal Vitraru, come Scuto è conosciuto negli ambienti criminali. Una leadership assoluta che non risentiva dello stato di detenzione in carcere

“Lo dovete lasciare un anno all’ospedale, perché lo voglio trovare tutto ingessato”. Tra le vicende che arricchiscono il profilo criminale di Orazio Scuto, boss del clan Laudani arrestato dalla guardia di finanza nell’operazione Lumìa, ce ne sono alcune che non hanno portato a formali contestazioni di reato perché dalle parole non si è mai passati ai fatti.

Tuttavia, restano utili a tratteggiare le dinamiche interne al gruppo guidato dal Vitraru, come Scuto è conosciuto negli ambienti criminali. Una leadership assoluta che non risentiva dello stato di detenzione in carcere.

L’estorsione al Pompiere

A fine 2022, il clan pianificò il pestaggio di un uomo colpevole di avere cercato di estorcere denaro, sfruttando l’assenza del boss dal territorio acese e di averlo fatto spendendo il suo nome. Un’iniziativa probabilmente nata dall’avere ritenuto improbabile che tutto potesse arrivare all’orecchio del boss, considerato il fatto che trascorreva le proprie giornate all’interno di un carcere in provincia di Udine. L’uomo, però, forse non sapeva che Scuto, pur da detenuto, veniva tenuto costantemente al corrente di ciò che avveniva in Sicilia.

Il fatto che l’aggressione – per mera casualità – non si sia concretizzata incide dal punto di vista penale, ma non nella comprensione del contesto. “Correttamente il pubblico ministero – ha scritto la gip Dorotea Catena – ha rilevato come i fatti in questione, pur non essendo suscettibili di essere inquadrati in un’autonoma fattispecie di reato, testimoniano le modalità sopraffattrici del gruppo, la forza di intimidazione di cui si avvaleva, il controllo del territorio esercitato e la posizione indiscussa di leadership rivestita da Scuto”.

Nomi di fantasia

I protagonisti di questa storia hanno tutti dei soprannomi. A menzionarli sono gli stessi protagonisti: la vittima dell’estorsione è conosciuta come il Pompiere, mentre Munsignaru (bugiardo, ndr) è colui che ha raccontato l’accaduto. Un nomignolo che in questo caso non ha pregiudicato la veridicità della ricostruzione da parte degli uomini del Vitraru. Questi ultimi sono Angelo Puglisi, 43 anni, e Ivano Aleo, 42 anni, entrambi arrestati e noti nell’ambiente criminale come Pitbull grande e Pitbull piccolo.

Proprio a loro Scuto, dopo avere appreso cosa fosse successo dalle parti di Guardia, frazione di Acireale, ha chiesto di intervenire a difesa della propria onorabilità.

La ricerca del responsabile

“Oggi mi ha chiamato u Munsignaru. Da suo compare il Pompiere ci è andato uno che io non conosco. Dice che gli hanno arrestato una figlia e gli ha chiesto dei soldi”. Il racconto di Puglisi inizia così. Dall’altra parte, con l’orecchio a uno dei telefonini che riuscivano a entrare nel carcere friulano di Tolmezzo anche grazie all’utilizzo di droni, c’è Scuto. Il boss ascolta, incredulo. “Con il mio nome? Questo è andato con il mio nome dal Pompiere?”, domanda.

Superato lo stupore, Scuto ragiona sull’opportunità di reagire a quell’affronto. “Il Pompiere è un amico perché gli viene parente e si è comportato sempre bene con il Munsignaro, giusto? Un domani ci può sempre servire perché è sempre il Pompiere”. Subito dopo impartisce gli ordini: innanzitutto bisogna prendere le distanze dall’accaduto e spiegare alla vittima che “a questo (Scuto) non lo conosce” sottolineando che “di queste cose nella sua vita non ne ha fatto mai”, poi bisogna pensare a rintracciare il responsabile.

L’appuntamento

“Prendi un appuntamento. (Con) il Pitbull piccolo mi dovete fare un favore, però”. Il favore a cui fa riferimento Scuto è quello di pestare a sangue l’uomo che si è presentato alla porta del Pompiere. E di fare in modo che tutto suoni come una vera e propria lezione di pedagogia criminale.
“Lo devi mandare all’ospedale. Ci fai una fotografia e ce la fai vedere (alla vittima dell’estorsione, ndr)”, dice il boss.

Nei giorni successivi, Puglisi dirà di essere riuscito a capire chi fosse il responsabile, ma le ricerche di quest’ultimo finiranno in un nulla di fatto.