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Mafia, il boss Scuto e la precedenza sui crediti del clan: “Prima recuperiamo i nostri soldi, poi l’Africano”

Mafia, il boss Scuto e la precedenza sui crediti del clan: “Prima recuperiamo i nostri soldi, poi l’Africano”

Nel corso della propria carriera criminale Orazio Scuto ha più volte dimostrato di riuscire ad aggirare i controlli all’interno del carcere

Carcere di Tolmezzo, Friuli Venezia Giulia, 2022. L’estate è appena finita e Sam Privitera passa le proprie giornate consapevole di essere uno dei mandanti dell’omicidio di Vincenzo Timonieri, sparito a inizio del 2021 e ritrovato cadavere sotto una duna di sabbia, a poca distanza dal mare che bagna i villaggi a sud di Catania.

Privitera non sa ancora che per quella vicenda verrà condannato all’ergastolo, né tantomeno che – incassata la sentenza – deciderà di diventare un collaboratore di giustizia.

Ciò che invece il 22 settembre attende con impazienza è il drone che dovrebbe portargli un telefono all’interno del penitenziario. A guidare il dispositivo sarà un napoletano, tra i maggiori esperti in quello che ormai è uno dei principali servizi illegali di cui gli esponenti della criminalità organizzata riescono a usufruire da dietro le sbarre.

Ma Privitera non è l’unico ad aspettare. Nello stesso carcere c’è anche Orazio Scuto, 66enne boss dei Laudani, arrestato ieri dal Gico della guardia di finanza. Il suo è il nome più importante tra quelli che compaiono nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dalla gip Dorotea Catena. A dimostrarlo sono le decine di vicende ricostruite nell’inchiesta della procura etnea, dove Scuto emerge come vertice indiscusso della cosca nella zona delle Aci. Un carisma che poggia anche sulla capacità di continuare a gestire gli affari nonostante la condizione di recluso.

Dai succhi di frutta ai droni

Nel corso della propria carriera criminale Orazio Scuto, conosciuto negli ambienti criminali come u Vitraru, ha più volte dimostrato di riuscire ad aggirare i controlli all’interno del carcere.

Nelle carte dell’inchiesta Report, risalente a qualche anno fa, furono ricostruite i metodi – artigianali ma più che efficienti – con cui Scuto riusciva a comunicare con l’esterno: pizzini avvolti nello scotch e infilati dentro ai brick dei succhi di frutta.

L’ultima indagine, invece, fa luce sull’uso di telefonini e di schede sim intestate a extracomunitari, probabilmente ignari del fatto di prestare l’identità a un boss mafioso. Gli investigatori sono tornati a lavorare su Scuto dopo una segnalazione anonima.

“Le indagini prendevano le mosse da un esposto in cui si rappresentava che, seppure all’epoca detenuto in carcere, proseguiva a impartire ordini ai sodali per interferire nelle attività imprenditoriali che ruotavano attorno al mercato agrumicolo dei territori dei paesi pedemontani. Dalla produzione al trasporto, alla vendita degli agrumi e degli scarti”, si legge nell’ordinanza.

L’esempio del “papà” Scuto

Per i propri sodali – tra cui il 42enne Ivano Aleo e il 43enne Angelo PuglisiOrazio Scuto era semplicemente il “papà”. Un riconoscimento che, stando alle intercettazioni in mano agli inquirenti, andava oltre la necessità di tutelare l’identità del boss. Scuto, infatti, veniva percepito come il capo assoluto a cui tutto riferire e a cui chiedere disposizioni in qualsiasi tipo di vicenda: dalle imposizioni delle estorsioni all’approvvigionamento di droga dalla Calabria, dal recupero crediti all’investimento dei profitti illeciti.

“Era Scuto a stabilire – ha scritto la gip – la ripartizione ai sodali dei proventi comuni, preoccupandosi di garantire agli stessi un adeguato sostentamento economico. Interpellato tutte le volte in cui venivano paventate minacce e esazione di crediti nei confronti di imprenditori contigui al clan, imponeva ai sodali di intervenire con violente rappresaglie”. Tra le modalità con cui Scuto sarebbe riuscito a ottenere denaro ci sarebbe stata anche quella di far figurare fittizi contratti di procacciamento d’affari.

La contesa dentro al clan

Tra le storie che meglio descrivono il peso di Scuto all’interno dei Laudani c’è quella che ha come malcapitato protagonista il titolare di un’azienda agricola della costa ionica. L’uomo doveva alla cosca centinaia di migliaia di euro.

Non è chiara l’origine del debito, anche perché il diretto interessato ha negato davanti ai magistrati di essere taglieggiato. Ciò che invece è certo è che ad ambire a recuperare le somme sono stati, nel corso del 2022, più esponenti dei Laudani.

Oltre ai sodali di Scuto, infatti, l’imprenditore sarebbe stato avvicinato e minacciato anche da uomini che fanno riferimento a Carmelo Pavone, boss acese dei Laudani conosciuto come Melo l’Africano. Tra i due gruppi ci sarebbero stati momenti di tensione, con Scuto che avrebbe mantenuto ferma la propria posizione: prima andavano recuperati i soldi a lui spettanti e, soltanto dopo, si sarebbe potuto pensare a quelli pretesi dall’Africano.

Scuto: “Stai al tuo posto”

Stai al tuo posto e non prendere più parola. Statti al tuo posto, fino a quando dico io”, sono le parole che Scuto suggeriva di dire all’altro esponente del clan, che aveva in Pavone il proprio “principale”. Mentre al debitore bisognava dire di “non dare niente a nessuno”, a meno di non voler essere picchiato.
Dal canto proprio, Scuto pensava che – una volta recuperati i 350mila euro che gli toccavano – si sarebbe potuto pensare anche alla famiglia dell’Africano. “Quando rientra di quelli dell’anno scorso, prendi 25 (25mila, ndr) e glieli dai nelle mani a sua moglie. Ci passi da casa”, consigliava il boss ad Aleo.