Su delega della Procura Distrettuale della Repubblica etnea, oltre 100 carabinieri stanno eseguendo, nella provincia di Catania e in quella di Agrigento, 13 misure cautelari a carico degli arrestati dell’operazione Leonidi bis contro il clan Santapaola-Ercolano.
A emettere l’ordinanza è il giudice per le indagini preliminari di Catania, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia etnea. Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e concorso in detenzione di droga ai fini di spaccio.
Soggetti destinatari di misura cautelare in carcere:
Soggetti ai domiciliari:
L’operazione Leonidi bis è frutto di un’indagine avviata nel maggio dello scorso anno, coordinata dalla Procura Distrettuale di Catania e condotta dai carabinieri del Nucleo Investigativo del comando provinciale, nel corso della quale già nello scorso mese di dicembre 2023 si era proceduto al fermo di indiziato di delitto a carico di 9 soggetti legati anche da vincoli di parentela ad esponenti di vertice della famiglia “Santapaola-Ercolano”, sul conto dei quali emergevano i gravi indizi della pianificazione, in stadio avanzato, di un tentato omicidio ai danni di Pietro Gagliano (soggetto indicato nelle conversazioni degli indagati come appartenente al contrapposto clan “Cappello – Bonaccorsi”) a opera di alcuni personaggi di spicco dell’associazione mafiosa “Santapaola-Ercolano”(nei confronti dei destinatari del decreto di fermo, ad avvenuta conferma delle ordinanze ad opera del Tribunale del Riesame, si è proceduto con richiesta di rito immediato).
In particolare, il progetto violento sarebbe stato originato da quanto accaduto la sera del 21 ottobre 2023 nella zona del “Passereddu”, quartiere San Cristoforo, ove – all’esito di una discussione tra appartenenti ai citati sodalizi – Pietro Salvatore Gagliano avrebbe esploso 4 colpi di arma da fuoco all’indirizzo di appartenenti alla famiglia di Cosa nostra catanese.
Due di questi ultimi, rimasti illesi, avrebbero progettato subito una vendetta armata al fine punire l’affronto subìto, nonostante indicazioni di segno contrario provenienti da altri esponenti del sodalizio al centro dell’operazione Leonidi bis e delle indagini antimafia.
Nel complesso, l’attività investigativa, condotta e finalizzata grazie ad attività tecnica e ai serrati riscontri sul territorio, sarebbe riuscita a dimostrare il tentativo degli indagati di riorganizzare gli assetti dei gruppi dell’associazione mafiosa “Santapaola – Ercolano”, duramente colpita nel tempo dall’incessante azione repressiva della magistratura e delle forze di polizia.
Nel corso dell’attività di indagine per l’operazione Leonidi bis, più volte sarebbe stato possibile apprezzare una netta distinzione tra l’azione della “vecchia mafia”, dei “grandi” (cioè dei sodali più anziani e di risalente affiliazione), da un lato, e l’azione della “mafia giovane”, spregiudicata, irruente, avvezza alla esibizione di status symbol sui social e alla vita gaudente, dall’altro.
E proprio avuto riguardo alla posizione di diversi storici affiliati della famiglia catanese di Cosa nostra, gli approfondimenti svolti avrebbero evidenziato – allo stato degli atti e nell’attuale fase del procedimento, in cui non si è pienamente realizzato il contraddittorio con le parti – che alcuni dei sodali, benché detenuti in diversi istituti penitenziari in varie parti di Italia, avrebbero continuato ininterrottamente a esercitare la loro attività di indirizzo e controllo delle dinamiche criminali comunicando con i sodali liberi attraverso dispositivi telefonici che si erano procurati illecitamente e che detenevano negli istituti. Tale ultimo aspetto dimostrerebbe l’assoluta permeabilità delle carceri alla ricezione e all’ingresso di dispositivi di comunicazione che consentirebbero agli affiliati detenuti di mantenere contatti quotidiani con i sodali liberi, in modo da impartire le loro direttive.
Tra le figure più emblematiche c’è quella di Salvatore Battaglia, storico responsabile del gruppo del Villaggio Sant’Agata (unitamente al fratello Santo) e protagonista di un’intensa stagione di sangue negli anni ’90, già condannato in via definitiva per il reato associativo mafioso e omicidio, che sarebbe risultato essere punto di riferimento attuale per il sodalizio criminale, capace di fornire indicazioni ai sodali circa la gestione delle dinamiche associative, a dispetto del suo status di detenuto.
Battaglia avrebbe ricevuto numerose informazioni durante la detenzione dai sodali liberi in modo da essere sempre aggiornato sulle dinamiche in corso e da esser in grado di impartire direttive dal carcere avuto riguardo ad incontri da svolgere con affiliati o soggetti di interesse associativo, alla gestione dei proventi delle attività illecite di pertinenza del gruppo del Villaggio Sant’Agata e ai comportamenti, anche violenti, da tenere in talune situazioni.
Altra figura di interesse sarebbe risultata essere quella di Salvatore Gurrieri, inteso “turi u puffu”, esponente della “vecchia generazione” di affiliati: la circostanza di essere ristretto in un istituto penitenziario del Nord Italia assieme ad altri affiliati- tra i quali uno dei vertici dell’articolazione mafiosa- gli avrebbe conferito un preziosissimo ruolo, avendo la possibilità di ricevere e veicolare direttamente le informazioni tra i sodali liberi e i soggetti con esso detenuti e pretendere erogazioni di denaro.
L’attività di indagine avrebbe permesso di accertare l’indissolubilità del legame di appartenenza all’associazione mafiosa dei sodali detenuti, un legame di reciproca corrispondenza perché, se per un verso i sodali detenuti sarebbero risultati capaci di esser aggiornati sulle dinamiche della vita mafiosa all’esterno del carcere e fornire consigli o direttive se necessario, tra l’altro forti della expertise mafiosa vantata; per altro verso, sarebbe stata accertata la continua corresponsione di somme per il mantenimento in carcere ai sodali detenuti (il cosiddetto “stipendio”), somme provenienti dagli affari illeciti gestiti dall’associazione mafiosa che non mancava mai di considerare quali “costi fissi” e non eludibili proprio le somme da erogare ai detenuti, a conferma e a tutela di un vincolo di appartenenza.
Ulteriore elemento di rilievo apprezzato dalle risultanze delle indagini dell’operazione Leonidi bis sarebbe risultata essere la presenza di nuove figure di giovani affiliati pronti ad affiancare i sodali più anziani nella gestione degli affari illeciti, del traffico di stupefacenti in particolare. Tra questi sarebbe emerso Giuseppe Pistone, giovane impegnato e disposto a tutto pur di compiere la sua scalata nell’olimpo criminale della malavita etnea. Pistone avrebbe mosso i primi passi sulla scena criminale come autista di Andrea Nizza, soggetto apicale dell’omonimo sodalizio criminale per poi arrivare, da ultimo, sino a ricoprire ruolo di responsabile del gruppo Nizza di Librino.
Successivamente all’arresto di Andrea Nizza, Pistone si sarebbe dedicato in via prioritaria all’attività di spaccio nell’interesse e per conto del gruppo Nizza, con l’obiettivo di riportare il citato gruppo agli antichi splendori pur in assenza della forza militare di un tempo. L’operazione Leonidi bis avrebbero consentito di delineare la figura di Pistone, in termini ben lontani da quelli di un semplice spacciatore di strada, risultando il predetto dotato di capacità e poteri organizzativi anche quale gestore di una “piazza volante”, cioè una piazza di spaccio ruotante intorno alla gestione di un’utenza telefonica, contattata da un numero indeterminato di assuntori attraverso diversi applicativi di messaggeria istantanea, quali Telegram e WhatsApp cui seguiva un apposito servizio di delivery degli stupefacenti curato da soggetti appositamente incaricato.
Le indagini dell’operazione Leonidi bis avrebbero consentito di apprezzare le interazioni tra vari gruppi della famiglia di Cosa Nostra etnea nonché tra detti gruppi e clan antagonisti, rivelando in più momenti gravi fibrillazioni caratterizzate anche da una “corsa alle armi”.
A tal riguardo va evidenziato che proprio a margine di alcuni di questi momenti di fibrillazione sono state condotte delle attività di riscontro e controllo e, in particolare in data 19 ottobre 2022, i carabinieri del Nucleo Investigativo di Catania hanno arrestato per il delitto di “detenzione illegale di armi e munizioni”, un 35enne catanese già noto alle forze dell’ordine e vicino al gruppo Nizza della famiglia Santapaola-Ercolano.
I militari avevano fermato l’uomo in viale Moncada, trovandolo in possesso di un revolver Franchi, con caricatore inserito e 9 colpi calibro 38 special all’interno, nascosto nella cinta dei pantaloni. Nello stesso contesto, gli operanti hanno effettuato una perquisizione all’interno di un locale destinato alla raccolta dei terminali della rete fognaria di due scale di una stessa palazzina, trovandovi 5 fucili da caccia, di cui tre cd “a canne mozze”, poiché artigianalmente modificati, una pistola mitragliatrice di provenienza cecoslovacca, una pistola Glock modificata, 352 munizioni di vaio calibro, circa 6 chilogrammi di hashish suddiviso in panetti, un giubbotto antiproiettili, un lampeggiante blu per auto, vari kit per la pulizia delle armi e svariato materiale per travisamento, tra cui scaldacollo e guanti in pile.
Da ultimo, nell’ambito dell’operazione, il 20 novembre scorso, i carabinieri avevano anche arrestato, per detenzione ai fini di spaccio di droga e resistenza a pubblico ufficiale due soggetti i quali, all’esito di un inseguimento a Canicattì (AG), sono stati bloccati e trovati in possesso di circa un chilo di cocaina, costituente fornitura ricevuta appena un’ora prima nel capoluogo etneo e consegnatagli da alcuni degli indagati nel presente procedimento.
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Tutte le ipotesi accusatorie nell’ambito dell’operazione Leonidi bis, allo stato avallate dal gip, dovranno trovare conferma dopo che verrà instaurato il contraddittorio tra le parti, come legislativamente previsto.