“Da quando hanno arrestato suo fratello, era in in pole position”. Il passaggio di mano tra Giancarlo e Fausto Seidita alla guida della famiglia mafiosa di Cruillas-Malaspina, a Palermo, sarebbe stato naturale. A dirlo, inconsapevole di essere ascoltato dalla polizia, è uno di quelli che bazzicano la criminalità organizzata nelle zone che ricadono nel mandamento della Noce. La parentela con il passato reggente avrebbe dato al 40enne Fausto Seidita un vantaggio su qualsiasi tipo di concorrente, a prescindere dal talento criminale. Per via della statura fisica, Seidita – ufficialmente attivo nella rivendita di personal computer rigenerati – è conosciuto come u longu, il lungo. Su di lui, i magistrati della procura guidata da Maurizio De Lucia hanno accumulato sufficienti elementi per accusarlo di associazione mafiosa. Un’appartenenza che peraltro, considerando una precedente condanna passata in giudicato, non è in discussione. “Il vincolo di un associato con Cosa nostra può essere interrotto soltanto dalla morte o dalla collaborazione con l’autorità giudiziaria”, viene ricordato nel decreto con cui gli inquirenti hanno disposto il fermo di Seidita e di altri esponenti del mandamento. Tra questi c’è Vincenzo Tumminia, divenuto reggente della famiglia di Altarello – anch’essa ricompresa nel mandamento della Noce – dopo che nel 2022, lo stesso anno di Giancarlo Seidita, il fratello Pietro finì in galera.
Massima riservatezza
“Ritornato in libertà il 3 marzo 2017, dopo aver espiato la pena di anni otto e mesi due di reclusione inflittagli, Seidita non veniva immediatamente attinto da specifici indizi attestanti il suo reingresso nella cosca mafiosa, retta, a partire dal mese di luglio 2019, dal fratello. Tuttavia, certamente indicativo della mancata interruzione dei contatti con la consorteria criminosa risultava essere il servizio di scorta prestato in favore del fratello, in occasione di una riunione di sicuro rilievo tenutasi il 3 dicembre 2020”. L’incontro a cui i magistrati fanno riferimento è quello a cui parteciparono i capi delle tre famiglie del mandamento della Noce per concordare strategie più incisive sul fronte delle estorsioni. Cinque anni dopo, i magistrati ritengono che Fausto Seidita sia passato a dettare a propria volta la linea. Affermandosi sia nella famiglia mafiosa di appartenenza che a livello di mandamento. Il 40enne viene descritto come una persona particolarmente cauta. Il protocollo di sicurezza adottato da Seidita prevedeva lo scambio di informazioni con gli altri esponenti del proprio gruppo e anche delle altre famiglie del mandamento nel corso di passeggiate, da fare senza tenere addosso i cellulari. Accortezze che per gli inquirenti dimostrano la consapevolezza dell’uomo di poter essere oggetto di attenzioni da parte degli investigatori. Camminando per le strade di Palermo e concedendosi brevi soste in luoghi all’esterno, Seidita avrebbe cercato di evitare di essere intercettato, sia tramite telefono che con attraverso le cimici ambientali.
Baci traditori
Ad avere meno cura, tuttavia, si sarebbero dimostrati alcuni suoi sodali. C’è chi, facendo venire meno la prudenza non esitava a indicarlo come il vertice assoluto. Capita, per esempio, quando due uomini ragionano della persona a cui fare riferimento per affari che hanno a che vedere una zona che fa parte della Madonna di Tutto il Mondo, nome con cui si fa riferimento la famiglia di Altarello. Quando uno cita Fausto Seidita, l’altro lo corregge, specificando che cerca chi guida Altarello. Il primo però sottolinea come Seidita sia sopra “a tutto”. Dal canto proprio, il 40enne si muoveva da boss, arrivando a indicare quale ditta dovesse lavorare in un terreno privato di proprietà di parenti di uno dei propri uomini, ma anche dettare la linea su come gestire il traffico di stupefacenti. E forse sarà stata l’assunzione del ruolo di leader a fargli compiere quella che potrebbe essere stata una leggerezza. Un giorno, di ritorno da un incontro riservato, Seidita congeda il proprio interlocutore, all’epoca reggente di Altarello, con un bacio in bocca. “Comportamento manifestamente e inconfondibilmente rappresentativo dell’indissolubile legame derivante dal vincolo associativo mafioso”, annotano i magistrati.
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