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Mafia, la latitanza di Santo La Causa ad Aci Catena: tra summit, incontri con il sindaco e pestaggi

Mafia, la latitanza di Santo La Causa ad Aci Catena: tra summit, incontri con il sindaco e pestaggi

Un elemento di novità che il Quotidiano di Sicilia è in grado di svelare dopo l’operazione Cubisia Connection.

Sul retro di un supermercato, un uomo attende la persona a cui ha dato appuntamento. Sa che gli vuole parlare, ma non sa esattamente di cosa. Alla fine l’ospite arriva. Data la tuta Agip che indossa, si direbbe che abbia lasciato da poco il lavoro ma così non è: davanti all’uomo non c’è un comune benzinaio bensì l’esponente di maggiore peso della famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano.

Tra le scene più iconiche della cronaca giudiziaria catanese degli ultimi vent’anni c’è senz’altro quella appena descritta.

Si svolge a fine anni Duemila nel territorio di Aci Catena e ha come protagonisti due persone che arrivano da mondi apparentemente opposti: Pippo Nicotra, in quel momento sindaco e deputato regionale, e Santo La Causa, reggente di Cosa Nostra etnea e latitante.

Di questa storia – raccontata ai magistrati da La Causa quando ha deciso di diventare collaboratore di giustizia – si è scritto molto e altrettanto si è discusso nei tribunali. L’incontro, infatti, è stato per oltre un lustro al centro del processo Aquilia, che ha visto Nicotra condannato in primo e secondo grado per concorso esterno in associazione mafiosa e infine prescritto, in seguito alla decisione della Cassazione di derubricare il reato in voto di scambio politico-mafioso.

Ma un motivo per tornarne a parlarne c’è ed è contenuto negli atti dell’inchiesta che due giorni fa ha portato al blitz Cubisia Connection, con cui i carabinieri hanno smantellato alcune piazze di spaccio gestite nell’interesse di Cosa Nostra.

L’inchiesta poggia sulle parole di un altro collaboratore di giustizia: Stefano Sciuto, il figlio dello storico capomafia di Aci Catena, Nuccio Coscia, boss a cui – anche questa è storia nota – Nicotra a inizio anni Novanta porse condoglianze pubbliche che valsero lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazione mafiosa.
L’elemento di novità che il Quotidiano di Sicilia è in grado di svelare sta nel fatto che, nel periodo in cui incontrò Nicotra, La Causa ad Aci Catena ci viveva.

Tra appartamenti e campagne

A rivelare agli inquirenti che Santo La Causa trascorse un lungo periodo nel territorio catenoto è stato Stefano Sciuto.

La ricostruzione è contenuta nei documenti che hanno consentito alla procura di chiudere il cerchio sul traffico di stupefacenti del gruppo Cubani – dal nome del quartiere Cubisia, ma anche dalla scelta di identificarsi con la bandiera del paese caraibico – guidato da Sciuto a partire dal 2021, anno in cui è tornato in libertà dopo un decennio di carcere.

Dopo il blitz, ad Aci Catena ci si chiede se potranno esserci ulteriori conseguenze giudiziarie, nuove indagini e arresti. C’è chi ne ragiona nelle chat private, chi si concede qualche battuta a mezza voce al bancone del bar o in piazza. Poche, invece, le reazioni della politica locale: a parte una nota di un consigliere d’opposizione e un post pubblicato ieri dal Comune, per rilanciare un evento sulla strage di Capaci e affermare che “Aci Catena è contro le mafie”, ha prevalso il silenzio.

Quel che è certo è che Sciuto ha parlato anche di altro nei sei mesi che la legge concede ai collaboratori di giustizia per rivelare tutto ciò che sanno sulle attività e i rapporti dentro e fuori all’organizzazione criminale.

Tra le rivelazioni, stando a quanto appreso dal Quotidiano di Sicilia da fonti vicine alla procura, c’è appunto quella riguardante la latitanza di La Causa ad Aci Catena. Sciuto ha fissato il periodo tra la fine del 2008 e il 2009, spiegando che l’allora reggente provinciale dei Santapaola-Ercolano visse molto tempo all’interno delle abitazioni a disposizione di persone vicine alla cosca. Tra queste ci sarebbe stata la stessa abitazione di Sciuto nel quartiere Santa Lucia, di cui La Causa in una certa fase avrebbe avuto a disposizione persino le chiavi.

La scelta di La Causa di riparare ad Aci Catena sarebbe scaturita anche dal rapporto di stima che lo legava al padre del neo-collaboratore, il boss Nuccio Coscia.

Summit e guerre

Tra gli elementi forniti da Sciuto a sostegno dell’operatività di La Causa nella parentesi catenota ci sarebbe stata l’organizzazione di alcune riunioni riservate a cui avrebbero partecipato esponenti mafiosi appartenenti ad altri gruppi.

In una circostanza, nell’abitazione di Santa Lucia sarebbero arrivati sia santapoliani responsabili di quartieri diversi di Catania che un esponente di vertice dei Laudani, cosca che con i Santapaola da tanti anni ha stipulato un patto di non belligeranza.

All’ordine del giorno, in quell’occasione, ci sarebbe stata la possibilità di organizzarsi in vista di un possibile scontro armato contro il clan Cappello. Evenienza che poi non si presenterà, ma per la quale La Causa avrebbe chiesto a tutti uno sforzo economico, un contributo straordinario da versare nella cassa comune della famiglia Santapaola-Ercolano da utilizzare anche per l’acquisto di armi.

Ingerenze

La presenza di La Causa ad Aci Catena si sarebbe fatta sentire su più fronti. Se in occasione dell’incontro con Nicotra, La Causa ha detto ai magistrati di avere chiesto il cambio di destinazione d’uso di alcuni terreni agricoli a cui era interessato – fatto che poi non è stato accertato all’interno del processo Aquilia –, Stefano Sciuto ha raccontato agli inquirenti di come l’allora reggente provinciale si muovesse da vero capo, come uno che di fatto si stava prendendo in mano il paese.

A riprova di questa autonomia ci sarebbe un’iniziativa che a Sciuto non era andata a genio: la decisione di fare uomo d’onore lo zio Antonino Patanè.

Condannato nel 2023 nel processo Odissea, Patanè è zio di Sciuto. Nonostante ciò, quest’ultimo avrebbe vissuto con fastidio la formale affiliazione a Cosa Nostra di Patanè, poiché ritenuta inopportuna alla luce della presenza – seppure in regime di 41bis – del proprio padre.

Tradimenti e pestaggi

Tra i fatti raccontati da Stefano Sciuto ai magistrati c’è un violento pestaggio che, nelle intenzioni degli organizzatori, sarebbe dovuto essere un omicidio.

A chiedere l’esecuzione sarebbe stato proprio La Causa, a margine di una vicenda privata che aveva coinvolto esponenti dei Santapaola appartenenti a due diversi gruppi. Uno di Aci Catena, l’altro di Catania. Il litigio era nato per la scoperta di una relazione extraconiugale, a cui era seguita un’intimidazione a colpi di pistola, seppure esplosi in aria, davanti all’abitazione dell’uomo legato al gruppo catanese.

La reazione, ritenuta eccessiva, avrebbe indotto La Causa a chiedere la punizione dei responsabili. Come confermato da fonti vicine alla procura, ciò avrebbe portato in un primo tempo a un violento pestaggio – avvenuto in una piazzetta della frazione di Aci San Filippo – nei confronti dei ragazzi che avevano partecipato all’azione dimostrativa e poi, nei giorni successivi, alla decisione di uccidere una delle vittime.

Il giovane, dopo essere stato prelevato dalla strada, sarebbe stato condotto in una zona isolata, picchiato e infine buttato in un fosso. Il colpo finale lo avrebbe dovuto dare proprio Sciuto, che però decise di salvare la vita al ragazzo, sparando alcuni colpi a terra.

Il confronto a Ognina

Nei giorni successivi a questa vicenda, La Causa e Sciuto si sarebbero incontrati nella zona di Ognina.

Il catenoto sarebbe stato convocato dal reggente, alla luce della decisione di non compiere l’omicidio. Tuttavia, da parte del reggente della famiglia Santapaola-Ercolano non sarebbe arrivato alcun rimprovero. Ma solo una presa d’atto e l’invito a portare i saluti al padre in carcere.

I soldi di Nicotra

Tra gli argomenti che sarebbero stati affrontati nel corso degli interrogatori successivi all’avvio della collaborazione con la giustizia, Stefano Sciuto si sarebbe pronunciato anche sui rapporti intrattenuti dalla cosca con Pippo Nicotra, sindaco di Aci Catena a inizio anni Novanta, quando ancora l’elezione del primo cittadino non era diretta, e a fine anni Duemila, quando invece il voto degli elettori era fondamentale per arrivare a indossare la fascia di primo cittadino.
Sciuto avrebbe confermato che Nicotra, che oltre alla carriera politica è stato un affermato imprenditore nel settore della grande distribuzione, pagava i Santapaola-Ercolano, sottolineando che non si trattava di estorsioni ma di “regali”, forme di contribuzione economica per il sostegno ai detenuti.
Tale tesi, come detto, non è stata però accolta dalla Cassazione, secondo cui Nicotra – fuori dalle competizioni elettorali, dove avrebbe pagato con il chiaro intento di acquisire i voti necessari per ottenere lo scranno – avrebbe pagato nella veste di vittima del pizzo. Una storia che, con la sentenza definitiva e nel rispetto del principio processuale ne bis in idem, che vieta che una persona possa essere giudicata due volte per lo stesso fatto, è da intendersi chiusa.