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Mafia, vittime denunciano racket, tredici le condanne a Palermo

PALERMO – Il gup di Palermo ha condannato a oltre mezzo secolo di carcere, in abbreviato, 13 tra boss ed estortori del mandamento palermitano di San Lorenzo accusati di associazione mafiosa ed estorsione. L’accusa in aula era rappresentata dal pm Amelia Luise. Il processo nasce dall’inchiesta Talea bis a cui contribuirono le denunce di alcune delle vittime del racket del pizzo.

L’indagine che ha portato al processo nasce dall’operazione del carabinieri che nel 2017 disarticolò i vertici dei mandamenti mafiosi di Resuttana-San Lorenzo e Tommaso Natale e portò l’arresto di Maria Angela Di Trapani, moglie di Salvino Madonia, boss condannato all’ergastolo anche per l’omicidio dell’imprenditore Libero Grassi. Agli imputati erano contestate le estorsioni alla pizzeria “La Braciera” di via San Lorenzo e al bar “Golden” e taglieggiamenti a ditte edili. All’inchiesta ha collaborato il “pentito” Sergio Macaluso. Questa le pene inflitte dal gup: Salvatore Di Maio 7 anni e un mese, Giuseppe Fricano 8 anni e 8 mesi, Carlo Giannusa 4 anni, Sergio Macaluso 2 anni, Domenico Mammi un anno e 5 mesi, Mario Napoli 3 anni e 8 mesi, Michele Pillitteri 3 anni, Pietro Salsiera 9 anni e 8 mesi, Luigi Siragusa 4 anni e 8 mesi, Antonino Tarallo 4 anni e 8 mesi, Antonino Siragusa 2 anni e Corrado Spataro 4 anni e un mese.

“Nel processo siamo risultati l’unica associazione ad aver assistito vittime di estorsione dopo un percorso di ascolto e sostegno durato un anno e mezzo accanto a chi era stato taglieggiato – dice in una nota Addiopizzo, l’associazione antiracket che assiste le vittime delle estorsioni -. Un anno e mezzo di incontri, paure, silenzi, incertezze, solitudini, ansie e preoccupazioni prima che tutto sfociasse in un racconto di anni di estorsione e in pagine di verbali di denuncia. Un racconto poi confluito nell’operazione della procura e dei carabinieri del nucleo investigativo di Palermo”. “Non siamo eroi, vogliamo lavorare. Mi dispiace che alcuni magari cerchino di cavalcare mediaticamente la loro ribellione al racket, in certi casi pensando di risollevare attività che in realtà sono solo male gestite. Non ci siamo mai sentiti soli grazie al sostegno di Addiopizzo, delle forze dell’ordine e della magistratura”, hanno commentato i titolari della pizzeria La Braciera finita nel mirino del racket. Gli arresti di forze dell’ordine e magistrati, le denunce e le collaborazioni durante le indagini delle vittime accompagnate da Addiopizzo – prosegue la nota dell’associazione – le loro testimonianze nel corso del processo e la sentenza di oggi rappresentano uno degli esempi migliori di come si possa lavorare per strada e nelle aule di giustizia. Va sottolineato però che a una sempre più incisiva e costante repressione portata avanti da magistrati e forze dell’ordine, non seguono ancora vigorose politiche sociali e sul lavoro, fondamentali per superare fenomeni criminali e mafiosi”.