Particolari inquietanti dall'inchiesta sull'ex Ilva dopo l'arresto dell'avvocato siracusano ordinato dalla Procura di Potenza. Il "Sistema Amara" per raccomandare l'ex procuratore di Taranto al Csm
Il “sistema Amara” nelle vicende giudiziarie di Trani e dell’ex Ilva di Taranto: su richiesta della Procura della Repubblica di Potenza, l’avvocato Piero Amara – al centro dell’inchiesta di Milano sul cosiddetto “complotto Eni” anche per le dichiarazioni rilasciate ai magistrati lombardi sulla presunta loggia Ungheria – è stato arrestato ieri e trasferito in carcere per corruzione in atti giudiziari.
Era un “patto corruttivo”, basato su un continuo scambio di favori e utilità, quello che – come scritto nell’ordinanza del gip di Potenza, Antonello Amodeo – Amara aveva stretto con Carlo Mario Capristo, ex Procuratore di Trani e Taranto nel 2014, in concomitanza con la presentazione delle domande per il direttivo della Procura generale di Bari, e poi portato avanti per anni.
A Capristo è stato notificato l’obbligo di dimora nel capoluogo pugliese.
Guardia di Finanza e Polizia hanno eseguito altri tre arresti: in carcere è finito anche il poliziotto Filippo Paradiso, il “relation man” di Amara, come è stato definito negli atti dell’inchiesta coordinata dalla Procura di Potenza, competente sui magistrati di Taranto e Brindisi.
Amara e Paradiso avrebbero agito “con un’incessante attività di persuasione e sollecitazione” per “raccomandare” Capristo a membri del Csm.
Procuratore di Trani dal 2008 al 2016 e poi di Taranto fino al 2020, Capristo fu arrestato nella primavera dello scorso anno, sempre su richiesta della Procura di Potenza, per tentata concussione, falso in atto pubblico e truffa aggravata.
In seguito, il magistrato si è dimesso dall’ordine giudiziario, anticipando il pensionamento.
“Per gli amici, i favori; per gli altri, la legge”. Questa frase, secondo gli investigatori, sarebbe stata alla base del modus operandi di Capristo.
Di parere diverso gli avvocati difensori dell’ex magistrato, Angela Pignatari e Riccardo Olivo, secondo i quali Capristo “Ha sempre agito correttamente e in piena conformità al suo ruolo di Procuratore di Trani e di Taranto”.
Sono, invece, ai domiciliari, Nicola Nicoletti, consulente dei commissari dell’ex Ilva dal 2015 al 2018, e l’avvocato di Trani Giacomo Ragno. Nei confronti di quest’ultimo è stato disposto anche il sequestro preventivo di 278 mila euro, l’importo delle parcelle professionali pagate dai commissari dell’Ilva per gli incarichi ricevuti “nel contesto del patto corruttivo” scoperto dagli investigatori.
Secondo quanto ricostruito dalla Procura potentina, guidata da Francesco Curcio, Capristo, quando era Procuratore di Trani, nonostante “la palese strumentalità”, si autoassegnava in co-delega con i sostituti Antonio Savasta e Alessandro Pesce procedimenti penali che scaturivano “da esposti anonimi” sull’Eni “redatti da Amara” e “consegnati” direttamente allo stesso Capristo.
Negli esposti veniva “prospettata la fantasiosa esistenza di un inesistente progetto, concepito a Barletta proprio affinché il fatto fosse di competenza della Procura di Trani” e che “mirava a destabilizzare i vertici dell’Eni e in particolare a determinare la sostituzione dell’amministratore delegato, Claudio Descalzi”.
In questa maniera, Amara riusciva a farsi accreditare presso la compagnia petrolifera come un legale “in grado di interloquire direttamente con i vertici della Procura tranese”.
Tra gli undici indagati ci sono anche gli ex magistrati pugliesi Michele Nardi e Antonio Savasta, rispettivamente ex gip ed ex pm di Trani e già condannati in primo grado dal Tribunale di Lecce rispettivamente a 16 anni e nove mesi di reclusione e a dieci anni nell’ambito del cosiddetto processo “giustizia svenduta”.
Non è da escludere che la Procura potentina possa avere altre carte utili a far luce sul “sistema Amara” che avrebbe favorito l’avvocato siciliano, Capristo e altre persone coinvolte nel “patto corruttivo”.
La condivisione di un modello unico tra “guardie e ladri” produce gli scandali. La corruzione a Palazzo di Giustizia è il più efficace estintore della lotta alla mafia. “Metterò il tuo cuore in padella e me lo mangerò, ti verrò a trovare anche a Roma pure che non vali i soldi del biglietto…ti accecherò con le mie mani, non ti salverà neanche Gesù Cristo. Ti faccio passare la voglia di vivere, ho preso la mia decisione, di giocarmi la mia libertà. Anche se mi arrestano, c’è chi viene a cercarti”: così l’esponente della “stidda” vittoriese Venerando Lauretta al giornalista Paolo Borrometi. La percezione del fenomeno mafioso – a 75 anni dalla nascita della Repubblica – è tuttavia mutata. Inchieste giudiziarie, report dei media e fiction sul tema hanno modificato la sua collocazione nell’immaginario della gente: non più solamente vertice della piramide malavitosa ma anello di una catena, vassalla convivente e connivente con altri poteri forti quali imprenditoria senza scrupoli nonché Massoneria e Servizi segreti deviati sì ma senza reazione efficace da parte delle organizzazioni di provenienza (se queste si fossero recisamente opposte, quelle non avrebbero potuto prosperare). A tutto ciò s’aggiunge quella sorta d’antimateria rappresentata dalla corruzione in Vaticano e nella Magistratura. E’ caduta così la visione della mafia quale forma estrema di malavita, cara a tutti i partiti e orientamenti dominanti (Fascismo compreso) che si succedono dall’Unità in poi. La rassegnazione al primato delle oligarchie formate di un’unica sostanza – la propensione strumentale al crimine – non s’avvertiva così da generazioni e diffonde l’idea di una mafia che “scade” ma contemporaneamente “s’innalza” al rango degli altri poteri. La vicenda di Berlusconi che oggi traspare – aver chiesto un decisivo “passaggio” a Cosa Nostra per renderla inoffensiva e insieme sfruttarla – sta a pennello con le più antiche strategie di addomesticamento, salvo non comprendersi alla fine chi sia il traghettatore e chi il traghettato…Si capisce invece perché, ad esempio, anche un “moderatamente conservatore” come De Poli (UDC) ci vada piano prima di troncare con certi alleati ostinandosi nel vecchio gioco di una “riforma” dal di dentro. Si capisce perché il mio vicino di Sarzana – di là dalla parete – m’avverte “Tu sei morto…” con la stessa ovvietà sia pure esagerata con cui una volta si preconizzava di qualcuno il licenziamento politico…Ecco quindi che alle minacce da boss ribadiremo in siculo, alludendo al fronte variegato di sodali che lo sostiene: “C’ama ‘ncucchiari ‘i testi!” (Dobbiamo unirgli le teste perché suonino come campane…). E nell’immaginarne la scena, faremo nostro a proposito il commento sonoro di Franco Franchi quando scuoteva il braccio come tifando, un attimo prima del passaggio fervido e ammonitore delle Frecce tricolori…
Francesco Lago