Ieri a Potenza interrogatorio dell'avvocato siracusano sull'ex Ilva. Intanto il procuratore di Milano Greco si difende dall'accusa di aver affossato le indagini. L'inchiesta del Consiglio superiore
L’avvocato siracusano Piero Amara continua a essere il crocevia di diverse inchieste.
Arrestato lo scorso otto giugno nell’ambito di un’inchiesta su vicende giudiziarie di Trani e dell’ex Ilva di Taranto, ha parlato ieri nel carcere di Potenza con i pm della Procura del capoluogo lucano che coordinano le indagini di Guardia di Finanza e Polizia.
Lo scorso dieci giugno, nell’interrogatorio di garanzia, Amara aveva risposto alle domande del gip Antonello Amodeo e, come avevano riferito i suoi avvocati – che hanno presentato ricorso contro la custodia cautelare in carcere -, aveva “ribadito la sua collaborazione con la Giustizia”.
Nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Potenza – competente sui magistrati di Taranto e Brindisi – sono indagati anche l’ex Procuratore della città jonica, Carlo Maria Capristo (in pensione da alcuni mesi e che ha l’obbligo di dimora a Bari), il poliziotto Filippo Paradiso, l’avvocato Giacomo Ragno e l’ex consulente dell’Ilva in amministrazione straordinaria, Nicola Nicoletti.
Procuratore Greco, non affosso indagini
Ieri, intanto, il procuratore di Milano Francesco Greco, che secondo il suo sostituto Paolo Storari lo avrebbe bloccato nel portare avanti le indagini sulle dichiarazioni dell’avvocato Amara sulla presunta loggia Ungheria, si è difeso durante un “web talk” organizzato da Task Force Italia.
“Io e Bruti Liberati – ha detto – siamo passati per coloro i quali volevano affossare le indagini, mentre invece consigliavamo prudenza e ragionevolezza. Non è il problema di non guardare in faccia a nessuno, basta vedere le persone che abbiamo fatto condannare, ma bisogna essere efficaci nelle indagini e avere la cultura della prova”.
Stando alle parole di Storari – indagato per rivelazione di segreto d’ufficio per aver consegnato quei verbali all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo in “autotutela” -, i Amara non doveva essere in alcun modo “toccato”, perché doveva essere convocato al processo Eni-Nigeria e non doveva essere “compromesso” come teste.
Anche Edmondo Bruti Liberati, presente al web talk, quando dirigeva la Procura milanese, finì al centro di un duro scontro con l’aggiunto Alfredo Robledo.
Caso Eni, indagine del Csm
E proprio in questo quadro va inserito l’intervento del Csm per accertare eventuali anomalie nel funzionamento degli uffici giudiziari milanesi e per valutare se ci siano profili di incompatibilità ambientale di alcuni magistrati.
Si profila, dunque, una indagine ad ampio raggio che riguarda gli uffici requirenti e il loro rapporto con gli uffici giudicanti.
L’indagine sulle vicende con al centro Eni, riguardante la frattura tra magistrati requirenti e giudicanti, ha assunto contorni più netti con il deposito delle motivazioni della sentenza con cui il Tribunale, lo scorso 17 marzo, ha assolto tutti gli imputati per ritenuta non provata tangente nigeriana.
La frattura ebbe origine quando, in pieno dibattimento, il Procuratore della Repubblica Francesco Greco e l’aggiunto Laura Pedio, si recarono dai colleghi di Brescia per consegnare una decina di righe di un verbale in cui l’avvocato Piero Amara gettava ombre sul presidente del collegio Marco Tremolada.
Iniziativa “irrituale” venne definita dai giudici del Tribunale i quali, nelle quasi 500 pagine in cui hanno spiegato i motivi della loro decisione, in alcuni passaggi hanno usato toni duri nei confronti della Procura.
Lo scontro con Storari
Poi c’è lo scontro tra il pm di Milano Paolo Storari con gli stessi Greco e Pedio dopo le dichiarazioni rese sempre da Amara nell’ambito dell’indagine sul cosiddetto “falso complotto”.
Dopo che l’avvocato siciliano aveva rivelato l’esistenza di una fantomatica loggia Ungheria, Storari che allora coordinava quell’indagine con Pedio, aveva chiesto ripetutamente di procedere con le iscrizioni nel registro degli indagati senza, a suo dire, ricevere risposta.
Il pm Storari avrebbe parlato di una precisa linea da parte dei vertici della Procura milanese, che prevedeva di “salvaguardare” Amara da possibili indagini per calunnia, perché quest’ultimo sarebbe tornato utile come teste nel dibattimento sul caso Nigeria.
In più, sempre secondo Storari, tutte le prove da lui raccolte sull’ex manager della compagnia petrolifera Vincenzo Armanna, tra cui chat manipolate e un versamento di cinquantamila dollari a un teste chiamato in aula, non vennero prese in considerazione da Greco, De Pasquale, Pedio e Storari, né vennero depositate nel processo che si è concluso con l’assoluzione di tutti.
Anche in questo caso perché Armanna, “grande accusatore”, non poteva essere screditato.