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Gioele, la malattia affrontata con dignità e fede: “Aveva la Pasqua scritta nel cuore”

Gioele, la malattia affrontata con dignità e fede: “Aveva la Pasqua scritta nel cuore”
foto Gioele, la storia tra malattia e fede

La testimonianza della famiglia al prossimo Festival delle Parrocchie a Catania.

La storia di Gioele non è soltanto il racconto di una malattia, ma il cammino di un giovane che nel tempo della sofferenza ha saputo comunicare speranza, fede e vita. I genitori, Sebastiano e Loredana, ricordano con commozione, ma anche con una pace che viene dal Signore, i difficili mesi vissuti l’estate dello scorso anno accanto al loro primogenito.

La testimonianza della famiglia e l’eredità lasciata da un giovane — un “santo della porta accanto”, direbbe Papa Francesco — si intrecciano con la quarta edizione del Festival delle Parrocchie, che nell’edizione 2025 del prossimo 14 novembre, si propone di celebrare il Giubileo della speranza.

La malattia e la storia di speranza e fede di Gioele

La malattia di Gioele arrivò all’improvviso, “costringendo” lui e la sua famiglia a percorrere una strada sconosciuta. Ciò che colpisce nei racconti dei genitori non è tanto la cronaca della sofferenza, quanto la serenità con cui Gioele rimase luminoso fino al suo ultimo respiro. “Non si è mai ribellato – raccontano – accoglieva tutto con una serenità che non era di questo mondo”.

Il padre ricorda le notti trascorse al suo fianco, quando nel silenzio Gioele intonava salmi. “Una volta mia moglie mi disse: guarda, guarda, tuo figlio sta cantando. Io, devastato dal dolore, nel cuore della notte, lo sentivo lodare il Signore. Questo ci ha profondamente sorpresi. Don Vincenzo Branchina, oggi Vicario Generale e nostro amico da sempre, ci diceva che nostro figlio ‘aveva la Pasqua iscritta nel cuore’”.

Il ricordo della madre

La madre offre un’immagine che custodisce nel cuore: “Gioele era come una spugna. Fin da piccolo assorbiva goccia dopo goccia: una goccia di Eucaristia, una goccia di Parola, la comunità, noi genitori, i luoghi di preghiera. Quando la malattia lo ha spremuto, dal suo cuore non usciva rabbia, né cattiveria, ma manifestava la vita nuova di Cristo risorto. Gioele era un giovane come tanti: amava lo studio, lo sport, la musica, ma tutto veniva intessuto dalla fede, quella che abbiamo cercato di trasmettere. Per questo nel momento difficile della malattia, pochi giorni prima della morte, diceva: “Il mio spirito è felicissimo perché sto cercando il Signore”.

L’amore per San Francesco d’Assisi e per gli altri

La sua vicenda si intreccia profondamente con la figura di San Francesco d’Assisi. Una notte, ricoverato allo IOM, ripeteva il nome “Francesco“. I genitori, incuriositi, gli chiesero chi fosse. “Pensavamo a un compagno dell’università – racconta la madre – invece lui mi rispose: no mamma, è Santo Francesco”.

Pochi giorni dopo, Gioele morì nella notte del 3 ottobre, la stessa in cui San Francesco passò al cielo. “È stato per noi un segno – ammettono – una consolazione che ci conferma nella fede. Non lo consideriamo un gesto mistico, ma un fatto che ci ha dato pace”.

La sua fidanzata, Erika, fu testimone diretta di quegli ultimi giorni. Lei stessa, inizialmente distante dalla fede, fu toccata profondamente dal cammino di Gioele. Dopo la sua morte, anche i genitori di Erika si sono riavvicinati alla Chiesa e all’esperienza del Cammino Neocatecumenale, vissuta da Gioele fin da bambino.

Il letto di ospedale divenne luogo di incontri straordinari. Accanto a Gioele c’era Ivan, un uomo di 38 anni, malato terminale. Non parlava, osservava in silenzio. Dopo la morte di Gioele, la moglie di Ivan raccontò che, dopo essersi confessato, suo marito disse: “Ho incontrato Gesù Cristo in Gioele“. Non parole di rassegnazione, ma di incoraggiamento erano le parole di Gioele per Ivan. Ivan espresse il desiderio che tutta la sua famiglia si avvicinasse alla Chiesa. Oggi la moglie, prima lontana dalla fede, cammina unita in comunità. “Questo è il miracolo morale di Gioele – commenta il padre – non ha guarito i corpi, ma ha risanato i cuori”.

Un altro episodio commosse medici e infermieri. Nel reparto c’era Luigi, 28 anni, devastato da un tumore ai polmoni e alla testa, che da poco ha raggiunto anche lui il cielo. Una mattina, Gioele, pur allo stremo, si alzò e si trascinò fino alla sua stanza: “Ciao, io sono Gioele. Coraggio, ho un tumore come te. Combattiamo insieme nel Signore”. Un gesto semplice, ma che diede forza a Luigi e alla sua famiglia.
“Sono scene che trascendono l’umano – spiega il padre – perché in quelle condizioni nessuno avrebbe potuto pensare agli altri. Eppure Gioele lo faceva”.

Dopo la sua morte, i frutti hanno continuato a germogliare. “Non è merito nostro – dicono – è la grazia di Dio. Ma Gioele ha incarnato fino in fondo la vocazione di ogni cristiano: essere un altro Cristo. Nel dolore e nella malattia si è sentito figlio amato. E così, insieme a quanti ci raccontano di Gioele, sembra di rivivere gli Atti degli Apostoli: dopo la passione e morte di Cristo ‘avvenivano in tutti prodigi e segni’ (At 2,43). Di grazia soprattutto. Di nuova vita nel Risorto. Di una profondissima pace donata passando.
Con Gioele sta accadendo lo stesso. Forse non molti stanno entrando in chiesa ma molti stanno rivalutando il rapporto con la fede e la Chiesa. Non si tratta di guarigioni fisiche, ma di miracoli morali, cambiamenti di vita. Persone che desiderano quella felicità che hanno visto in lui”.

Per i genitori, tutto ciò è il frutto di una radice precisa: il battesimo, e la possibilità di crescere in una famiglia e in una comunità cristiana, e il sacramento del matrimonio continuamente rinnovato. “Non è merito nostro – ribadiscono – è la grazia di Dio. Ma Gioele ha incarnato fino in fondo la vocazione di ogni cristiano: essere un altro Cristo. Nel dolore, si è sentito figlio amato”.

Così, tra lacrime e gratitudine, il racconto di Gioele diventa un’eredità viva. Non una storia da celebrare per commuovere, ma una vita concreta che continua a generare luce. “Gioele è stato spremuto dalla sofferenza – concludono i genitori – e da lui è uscita solo Pasqua. Questa è la sua eredità. Questo è il seme che vogliamo consegnare al mondo”.