Roma, 19 dic. (askanews) – L’aumento dei prezzi alimentari e la stagnazione dei salari stanno incidendo profondamente sulle abitudini alimentari delle famiglie italiane. La pressione sui bilanci familiari si traduce spesso in un adattamento forzato delle scelte alimentari, con un maggiore ricorso a prodotti a basso costo e ad alta densità calorica. La dieta raccomandata è aumentata del 24% a livello nazionale, passando da 1.690 euro annui pro-capite nel 2018 a 2.130 euro nel 2023. Per una famiglia questo si traduce in una spesa annua di circa 4.900 euro, un valore che evidenzia il peso economico crescente dell’adozione di questa dieta.
E’ quanto emerge dal volume “Povertà e insicurezza alimentare in Italia. Dalla misurazione alle politiche”, a cura dell’Oipa – Osservatorio Insicurezza e Povertà Alimentare del Cursa, che analizza come l’inflazione alimentare contribuisca ad acuire le disuguaglianze sociali e nutrizionali, colpendo in misura maggiore le famiglie economicamente più fragili.
Le difficoltà risultano amplificate in contesti caratterizzati da ambienti alimentari sfavorevoli, come food desert e food swamp, dove l’offerta di alimenti freschi e nutrienti è limitata o meno accessibile. I dati del volume mostrano un progressivo allontanamento dalle diete sane: solo il 43% degli italiani segue un modello alimentare riconducibile alla dieta mediterranea.
La situazione è particolarmente critica tra i giovani: tra i 15 e i 24 anni l’adesione alla dieta mediterranea scende al 32,8%, mentre un italiano su tre segue una dieta povera di frutta e verdura. In questo contesto emerge un paradosso sempre più evidente: malnutrizione e sovrappeso crescono insieme. Il volume evidenzia che più di un bambino su cinque convive con l’obesità, quota che sale a quasi uno su tre nelle aree caratterizzate da maggiore povertà e privazione.

