Intervista in esclusiva a Marco Onado, economista e docente Bocconi: “Sanzioni inefficaci, recessione dietro l’angolo”. “L’Europa, senza una vera politica estera, né di difesa, va dietro agli Usa”
Le conseguenze economiche e finanziarie del conflitto russo-ucraino sono sotto gli occhi di tutti.
L’aumento esponenziale del costo di materie prime ormai fondamentali per la società, come il grano o la benzina, sono solo un esempio delle gravi conseguenze che che tutti i cittadini stanno pagando. Per analizzare meglio i motivi e le conseguenze della crisi economica che sta attanagliando ormai tutta l’Europa ci siamo rivolti a Marco Onado, uno dei maggiori esperti italiani di diritto bancario. Economista e accademico di 81 anni, attualmente è editorialista del Sole 24 Ore e docente senior nel dipartimento di Finanza della Bocconi, dove insegna Diritto ed economia dei mercati finanziari e Comparative financial systems.
Professore, il conflitto in Ucraina ha enfatizzato alcuni fenomeni in corso ma ha anche indotto uno shock economico finanziario. È chiaro che la guerra non conviene a nessuno, eppure continua. A chi conviene questo stato di fatto?
“La guerra dal punto di vista economico non conviene a nessuno, da quello politico mi sembra che sia un segnale del tentativo degli Stati Uniti di assumere una egemonia nei rapporti internazionali e l’Europa, che per una serie di motivi non ha mai costruito una vera politica estera né tanto meno una difesa, va dietro agli Usa. Con l’aggravante che le conseguenze economiche si stanno rivelando, come non era difficile prevedere, molto più grandi del previsto, l’inflazione alzandosi ulteriormente costringe le banche centrali a politiche restrittive e le conseguenze sono totalmente diverse fra l’Europa e gli Stati Uniti. Le conseguenze più disastrose direi che sono per gli Usa perché la Germania ha una dipendenza dal gas russo del circa 40%, noi siamo al 25%”.
Quanto potrà reggere ancora la nostra economia?
“È una domanda a cui non è possibile rispondere oggi perché non è ancora chiaro quanto sarà forte l’impatto e per quanto tempo durerà. Subito dopo l’invasione dell’Ucraina si diceva che fossimo in crescita e che l’Italia aveva raggiunto il massimo storico e quindi avremo anche nel 2022 tassi di crescita positivi, seppur molto ridotti. Invece non è così: ormai la recessione è dietro l’angolo”.
Quindi è plausibile che la crescita del Pil italiano nel 2022 non rispecchi il +2,8% previsto dal Def?
“Assolutamente sì. Non mi ricordo di preciso qual è la previsione del rapporto di Prometeia di fine giugno ma è un valore molto basso”.
In questo contesto si inserisce il fatto che la Bce non compra più il debito italiano. Il nostro Paese dovrà quindi rivolgersi ai mercati: questa situazione quali conseguenze ha?
“Le conseguenze già si vedono nell’aumento dello spread. Si tratta di livelli ancora gestibile, ma è un segnale importante che comporterà prima di tutto una maggiore prudenza nella spesa pubblica. Questo è indubbio nonostante il quadro politico, in questo momento, sembra pensare a tutto tranne che a questo”.
Le sanzioni alla Russia: secondo lei sono più i vantaggi o i danni che l’Italia ha ottenuto?
“In generale io sono molto pessimista sull’efficacia delle sanzioni. Agli americani piacciono molto e sono diventati i principali ispiratori di tutte le sanzioni degli ultimi decenni. Le sanzioni hanno però due contro indicazioni: la prima è la possibilità di evasione, sono come tutte le tasse e c’è sempre qualcuno che crede di essere più forte della media; la seconda sono le ritorsioni, perché i soggetti colpiti non stanno a guardare. Poco dopo lo scoppio della guerra aveva recensito il libro di uno storico sul Sole 24 Ore che dimostrava, dati alla mano, che alla fine le sanzioni non sono efficaci. E non parliamo solo di danni economici, ma anche danni politici in quanto le sanzioni tendono a rafforzare il quadro interno dei paesi sanzionati. È successo anche all’Italia durante il fascismo. Mussolini ha usato le sanzioni comminate per la guerra in Abissinia come una bandiera. Politicamente è stato un bonus speciale per il fascismo. E la stessa cosa penso stia accadendo all’interno della Russia, anche se il mistero russo è sempre insondabile. Tenga presente che ci sono fior di studi e di libri sul forte senso di appartenenza alla nazione. È fortissimo il ricordo della Seconda guerra mondiale che loro chiamano la grande guerra patriottica. Sia prima la politica estera che ha spostato la cortina di ferro ad est e sia gli ultimi avvenimenti dell’Ucraina (l’idea di associare l’Ucraina alla Nato) sono tutte cose che agli occhi non di Putin ma a quelli del cittadino russo, per quanto è dato sapere, sono viste come una minaccia. Come se ti mettessero i missili in giardino”.
Attualmente, tuttavia, si sono registrate diverse manifestazioni contro la scelta del governo russo di muovere guerra contro l’Ucraina…
“Questo è ovvio. Francamente bisognerebbe chiederlo ad un esperto di affari russi. Io cerco di capire il perché non c’è stata una reazione così immediata. Anche i russi hanno ormai capito che è stata la Russia ad invadere l’Ucraina, non c’è alcun dubbio. Però se mettiamo questa invasione nel contesto degli accadimenti precedenti e dell’arma che è stata offerta alla Russia di considerarsi minacciata, spiegano perché ormai siamo a quattro mesi di guerra e non si vede la fine”.
Lei ha detto che questa guerra conviene agli Stati Uniti, c’è qualche altra categoria a cui conviene mantenere questo stato?
“I paesi produttori di petrolio ovviamente, basta guardare gli aumenti del prezzo del petrolio. È diminuita l’offerta ed è aumentato il prezzo. Lezione uno di economia. La stessa cosa vale per il grano. La zona che vive la guerra è considerata il granaio di Europa”.
Secondo lei questa guerra potrebbe mettere a rischio anche i fondi stanziati dall’Ue con il Next Generation Eu?
“Questo no. Perché sono soldi stanziati e andranno avanti. Solo che era la risposta ad un problema precedente, ovvero quello della pandemia. Problema che aveva due differenze sostanziali rispetto alla guerra. La prima è che era uno shock simmetrico, come si dice in economia, ovvero che colpiva tutti i Paesi in modo uguale. La seconda è che prima o poi era destinato a finire: le pestilenze si controllano. Questa invece, probabilmente nemmeno Biden o Putin sanno quando finirà”.
Sanzioni e invio delle armi: i “paradossi” di un conflitto che rischiamo di alimentare
Missili che piovono dal cielo, colonne di fumo che si innalzano dal terreno, città cosparse di macerie che nascondono migliaia di cadaveri.
È questo quello che rimane del campo di battaglia di una guerra che dura da 142 giorni, ha costretto alla fuga, secondo l’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati, 9 milioni di persone dall’Ucraina e ha fatto oltre 5.000 vittime tra i civili. Una guerra iniziata sì dalla Russia, ma che si teme che le scelte compiute a livello internazionale possano contribire ad alimentare: sanzioni, invio di armi e provocazioni non lasciano alcuno spazio alle trattative diplomatiche.
Dall’avvio dell’Operazione speciale il 24 febbraio scorso, di fatto un’invasione, la situazione al fronte è certamente cambiata. La guerra si sta contenendo nell’est dell’Ucraina, a ridosso dell’autoproclamata Repubblica del Donetsk.
I bombardamenti avvengono ormai sia da un lato che dall’altro della linea di confine che divide l’esercito di Mosca da quello di Kiev.
Gli ucraini colpiscono i depositi di munizioni nemici e i russi colpiscono abitazioni civili, campi di grano e depositi ucraini.
Nel frattempo, sull’altro fronte della guerra, che vede come mediatore principale il presidente turco Erdogan, si cerca di trovare un accordo per lo sblocco del grano lasciato a marcire in navi che stazionano nei porti del Mar Nero.
Mercoledì scorso sono iniziati i colloqui a Istanbul tra le delegazioni russe e ucraine, alla presenza dei rappresentati delle Nazioni Unite: qualche passo in avanti è stato fatto ma nulla, nel concreto, è cambiato.
Sul fronte del gas, invece, la situazione è molto più critica. Qualche giorno fa Gazprom ha rilasciato un comunicato in cui spiega che non può garantire il funzionamento dell’infrastruttura. “Gazprom non è in possesso di alcun documento che indichi che Siemens è in grado di portare la turbina a gas per la stazione di compressione di Portovaya fuori dal Canada, dove è in riparazione. In queste circostanze non è possibile garantire il funzionamento sicuro della stazione di compressione di Portovaya, che è una struttura fondamentale per il gasdotto Nord Stream”, afferma la nota, che viene diramata qualche ora dopo i dati ufficiali delle dogane cinesi.
L’import della Cina dalla Russia, in prevalenza petrolio e gas, è salito a giugno del 56,3% annuo, a 9,7 miliardi di dollari, in scia agli sconti sui prezzi offerti dal Cremlino dopo che Usa, Ue e alleati hanno sospeso la gran parte degli acquisti in risposta all’aggressione di Mosca ai danni dell’Ucraina. Una vera e propria guerra dentro la guerra.
A pagarne le conseguenze sono i cittadini
A pagarne le conseguenze sono i cittadini: da quelli ucraini presi di mira dai missili russi (che hanno certamente la peggio) a quelli europei e americani che devono fare i conti con lo spettro della recessione e la realtà dell’impoverimento.
“Dobbiamo smettere di lamentarci e continuare a sostenere gli ucraini. Perché se noi paghiamo un prezzo in denaro, loro lo pagano ogni giorno in perdita di vite umane”: Sono le parole del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg durante l’audizione di mercoledì scorso in commissione Esteri al Parlamento europeo. Mentre sotto la bandiera Nato i Paesi europei continuano a ripetere lo stesso mantra da 142 giorni, sotto la bandiera dell’Ue hanno sostenuto economicamente anche la Russia attraverso l’acquisto del gas. Insomma, con una mano sanzionano gli oligarchi di Putin e le loro aziende, con l’altra hanno pagato ingenti forniture di gas.
Soldi e armi che finanziano entrambe le fazioni per tenere in vita un conflitto che forse politicamente conviene a qualcuno ma che economicamente sta danneggiando pesantemente tutti. Fino ad ora, una cosa è certa, le sanzioni verso Mosca non stanno portando nessun beneficio ai Paesi dell’alleanza atlantica, Italia compresa. E, come affermato dalla presidente della Bce, Christine Lagarde, “Difficilmente torneremo a un periodo di bassa inflazione. Si sono scatenate forze che cambieranno il paesaggio in cui operiamo”. Così, anche le prospettive di crescita del Governo Draghi (+2,8% del Pil nel 2022) iniziano a sfumare.