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Marilena Barbera, quando il vino è un ritorno alle proprie radici

Marilena Barbera, quando il vino è un ritorno alle proprie radici
Marilena Barbera durante una vendemmia

Dalla Firenze degli anni ’80 alla campagna di Menfi, la vignaiola che trasforma l’uva in un linguaggio identitario, rifiutando mode e scorciatoie per affermare autenticità e verità agricola

La storia di Marilena Barbera non è solo quella di una vignaiola siciliana: è il percorso di una donna che ha attraversato mondi diversi per approdare, consapevolmente, alle proprie radici. Il vino, per lei, non è un prodotto: è un linguaggio, un’eredità, una dichiarazione di identità.

La sua formazione comincia lontano dal vino: “Io sono andata a studiare a Firenze negli anni ’80 – racconta – a Palermo si ammazzavano le persone in mezzo alla strada… non era un periodo felice. I miei genitori erano terrorizzati all’idea che restassi in Sicilia”. Così parte per Firenze, dove rimane fino al 1995 e si laurea in Scienze Politiche, specializzandosi in relazioni internazionali e diritto internazionale: “Io volevo fare la carriera diplomatica. Ero innamorata dell’idea di andarmene via dalla Sicilia. Qualunque scelta, in quegli anni, era orientata a non tornare”.

Lavora al Nord, studia, si abilita come commercialista. Ma l’ago della bussola comincia a oscillare. Il primo cliente, quasi per caso, è suo padre. È lui a riavvicinarla alla terra: prima attraverso la contabilità dell’azienda agricola, poi attraverso la campagna stessa: “L’agricoltura mi piaceva. Era un momento di rinascimento per il vino siciliano e io me ne sono appassionata”. Quando comincia a occuparsi dell’azienda di famiglia, il vino siciliano nel mondo è quasi invisibile: “Nel 1998, a New York, entrai in tutte le enoteche di Broadway: c’erano quattro o cinque etichette siciliane. Ho pensato: qui c’è un mondo da fare”.

La prima etichetta registrata arriva nel 2001. Poi, nel 2006, la morte del padre segna uno spartiacque: due anni difficili, necessari per capire come ridefinire l’azienda. È il momento in cui Marilena decide di assumere interamente la guida, anche in cantina: “Il 2009 è stata la mia prima vendemmia da sola. Da lì ho iniziato un percorso di abbandono progressivo di ogni additivo enologico. Togli una cosa e ti accorgi che non serve. Poi ne togli un’altra. E capisci che puoi fare vino vero, vino eccellente, senza aiuti”.

Il biologico prima, la biodinamica poi. L’ascolto della vigna come principio assoluto: “Il vino si fa in campagna. La verità del vino è la sua lealtà al luogo in cui nasce”. Oggi, mentre molti produttori inseguono trend e richieste del mercato, Marilena mantiene una posizione netta: “Il vino per vent’anni ha inseguito il mercato, diventandone vittima. Ma il mercato non esiste se non siamo noi a crearlo. Ora il vino deve ritornare alla verità, all’identità, non alla moda. Fare un vino a otto gradi perché lo chiede il consumatore? Solo se la natura ti dà l’uva per farlo. Altrimenti è una perdita di tempo”.

Per lei, il futuro del vino passa dall’autenticità e dall’esperienza: “Identità significa anche territorio, accoglienza, relazione. Il vino deve essere parte di un racconto più ampio: cucina, paesaggio, modo di vivere. Questo è ciò che possiamo esportare davvero”. E sul suo futuro, Marilena sorride: “Quando andrò in pensione tornerò a vivere la campagna come luogo di vita, non di lavoro. Mi vedo qui, a Menfi”.

Fra diplomazia mancata e diplomazia del vino, Marilena Barbera è approdata alla sua forma più compiuta: una vignaiola che difende la verità del suo territorio e del suo lavoro. E che nel vino non cerca l’evasione, ma il ritorno.