Un confronto su questioni strutturali e non contingenti: ospite di questo Forum con il QdS, alla presenza del direttore Carlo Alberto Tregua, il senatore a vita Mario Monti. Tanti gli argomenti trattati con l’ex presidente del Consiglio dei ministri, al suo secondo Forum con il Quotidiano di Sicilia: dall’analisi sull’attività del Governo Meloni fino alla questione Sud.
Agire senza la preoccupazione di perdere consenso popolare
“L’economia e la finanza italiane oggi hanno un grado notevole di stabilità. Bene sta facendo il Governo Meloni, che si è proposto di seguire una linea di disciplina di bilancio. I risultati si vedono sui mercati, con uno spread sceso abbondantemente sotto quota 90. Ciò che, però, continua a latitare sono interventi e riforme capaci di rendere la crescita strutturale”.
“Questo dipende dal fatto che in Italia abbiamo un’economia ancora troppo ingessata a causa delle tante categorie che puntano a mantenere dei privilegi. Privilegi che, per far crescere il Paese in maniera strutturale, è necessario eliminare. Mi riferisco alle misure che riguardano la Pubblica amministrazione che, sebbene snellita, è ancora un po’ troppo burocratizzata. O, ancora, al tema della concorrenza, con un’Autorità che in questo momento mi sembra un po’ debole rispetto alle segnalazioni fatte. È comprensibile che stiamo parlando di provvedimenti che renderebbero un qualsiasi Governo poco popolare e, quindi, avrebbero come diretta conseguenza la perdita di consenso. Ma ricordiamoci che quando il presidente del Consiglio e i ministri giurano nelle mani del Capo dello Stato, assumendo l’incarico, dichiarano esplicitamente di operare nell’interesse esclusivo e generale della nazione. Quindi, se questa è la logica, ci sta, per esempio, che in fasi di forti tensioni finanziarie l’Esecutivo perda popolarità introducendo misure restrittive e di austerità per salvare il Paese. Misure i cui effetti benefici verranno riconosciuti più avanti nel tempo. Dunque, sbloccare tutto ciò vuol dire essere disposti a perdere un po’ di consenso per poi, però, avere maggiore crescita e sviluppo”.
“Ma ormai ci siamo abituati, non solo in Italia, a eleggere politici che, una volta in carica, privilegiano l’interesse particolare su quello generale. In questo modo le democrazie, però, perdono la capacità di mettere in atto quelle misure che gioverebbero ai rispettivi Paesi. La crescita e lo sviluppo vengono sacrificati a favore del consenso popolare. E purtroppo anche questo Governo, ottimo sotto tanti punti di vista, è debole nel cercare di creare uno sviluppo strutturale”.

L’unanimità un impedimento per il futuro dell’Europa unita
“L’Europa di oggi ha perso un po’ del suo smalto originario, così come era stata concepita nel 1955 da Gaetano Martino. E non solo per l’allargamento continuo a cui è soggetta, che comunque presenta dei risvolti positivi. C’è stato un politico in Europa, in anni recenti, che ha voluto e permesso la realizzazione del più grande pilastro dell’architettura europea di oggi, l’Euro: Helmut Kohl. Il quale, dopo l’unificazione tedesca da lui realizzata, preoccupato per il fatto che la Germania, Paese più grande in questa nuova dimensione e con la moneta più forte, potesse cadere nelle stesse tentazioni avute già due volte nella storia, ha accettato la proposta appoggiata fortemente dall’ex presidente della Repubblica francese, Francois Mitterrand, per una moneta unica quale passo fondamentale per l’integrazione europea. Una scelta non condivisa, però, dai tedeschi che nel 1998 hanno ‘revocato’ il consenso a Kohl. Così nuovo cancelliere è diventato Gerhard Schroeder”.
“Oggi per realizzare quell’Europa più unita che tutti vogliamo bisogna passare dall’accettazione unanime degli Stati membri. E questo è un problema. Abbiamo fatto una scoperta interessante nelle ‘Memorie’ di Jacques Delors. Il mercato unico è nato con il Consiglio europeo di Milano del 1985. Sul tavolo c’era la convocazione di una conferenza intergovernativa per la creazione del mercato unico. Tre Paesi, Gran Bretagna, Grecia e Danimarca, si opposero. Nella logica di oggi, secondo la quale al Consiglio europeo ci vuole l’unanimità, si sarebbe bloccato tutto e non sarebbe nato il mercato unico. Quarant’anni fa la presidenza italiana, invece, disse: ‘Beh, non ci sarà l’unanimità, ma una vasta maggioranza sì. Per cui, andiamo avanti comunque’. È questa, a mio parere, la direttrice da seguire. In Senato ho più volte chiesto alla presidente Meloni se il Governo fosse favorevole al superamento del diritto di veto in politica estera Ue, come peraltro vorrebbe il ministro Tajani. Mi dispiace che la presidente del Consiglio si sia dichiarata invece favorevole al mantenimento del potere di veto, non solo oggi ma anche quando il numero degli Stati Membri sarà aumentato ulteriormente con i futuri allargamenti. Con questa posizione, la presidente Meloni non dovrebbe poi lamentare, come spesso fa, l’assenza di una politica estera comune”.
La Francia, il Premierato e l’unità nazionale
“Mettendo a confronto due Paesi come Italia e Francia, è certamente vero che noi abbiamo un debito pubblico superiore, il 137 per cento del Pil contro il 117. Ma in economia contano molto anche le tendenze e quella transalpina è decisamente in peggioramento. Inoltre, se la Francia non adotterà misure adeguate, rischia di essere ‘divorata’ da alcuni fattori. Prendiamo, per esempio, le pensioni: Macron ha impiegato sei anni (cinque del primo mandato e uno del secondo) per mettere in atto una riforma pensionistica che gli è costata barricate e scioperi e che per giunta tutti gli esperti dicono essere assai più modesta della riforma Fornero del mio governo, che peraltro facemmo in due settimane e sotto la pressione di una grave crisi finanziaria. A Parigi non riescono a mettere in atto interventi più significativi: primo, proprio perché non hanno addosso questa pressione spaventosa. Poi per un altro aspetto, che non sempre viene colto. Spesso manifestiamo ammirazione nei confronti delle grandi repubbliche presidenziali, soprattutto quella francese e americana. E ci lamentiamo del nostro sistema parlamentare, considerato instabile. Secondo me, invece, il sistema presidenziale è in affanno da tempo. Noi siamo riusciti a fronteggiare la contingenza della crisi del 2011 perché il nostro sistema prevede la figura di un Capo dello Stato, non eletto direttamente dal popolo, al di sopra delle parti, che in quel frangente, chiamando il Paese a un momento di unità nazionale, ha potuto scegliere un presidente del Consiglio non politico, anch’egli super partes”.
“Ecco, il Premierato di cui tanto si parla oggi è qualcosa di molto simile al sistema presidenziale: con un capo dell’Esecutivo eletto direttamente dal popolo. Il Presidente della Repubblica non potrebbe quindi svolgere quella sua importante funzione di unità nazionale. Questo rischia di dar vita, di conseguenza, a delle inevitabili spaccature che in certi frangenti potrebbero impedire, come sta accadendo esattamente in Francia, il formarsi di una coscienza da situazione di emergenza”.
Sud penalizzato dalla “cultura del favore”
“Il Meridione è sempre stato un po’ considerato la Cenerentola d’Italia. A conferma, due dati: l’Autostrada del Sole, costruita con tempistiche da record per l’epoca, 750 chilometri in otto anni, terminava a Napoli; più di recente, l’Alta velocità ferroviaria si è fermata a Salerno. Tuttavia, va detto che il Sud ci ha messo del suo perché si creasse questa situazione. Negli anni in cui ero a Palazzo Chigi ho affermato che il Sud avrebbe dovuto cambiare più del resto del Paese. E aggiunsi che avrebbe dovuto farlo con le proprie gambe. Ero e sono convinto che il Mezzogiorno abbia delle enormi potenzialità e che rappresenta un’occasione per uno sviluppo che non nasce magicamente con soldi pubblici pompati in un tubo da cui esce una cosa che si chiama crescita”.
“Indubbiamente negli anni sono stati fatti molti passi avanti: le organizzazioni criminali sembrano essere meno baldanzose rispetto a una volta. Però al Sud ogni attività economica resta ancora molto clientelare rispetto al Nord. Io ho incontrato molti giovani brillanti che, pur avendo ricevuto allettanti offerte di lavoro nel Meridione, hanno preferito andare via, non volendo sottostare a un sistema in cui gli avanzamenti di carriera spesso sono basati su raccomandazioni e clientele. Così, preferiscono andare all’estero, cimentandosi sul mercato ed essere orgogliosi di ciò che hanno fatto piuttosto che giovarsi delle conoscenze di famiglia. Se volessimo coniare uno slogan, ‘la cultura del favore fa un cattivo favore a tutti’”.
“Il Sud è sempre stato una componente fondamentale della strategia di crescita ed equità dell’Italia ed è sbagliato considerarlo una palla al piede. Il fatto che la Lombardia abbia un reddito pro capite di quasi 30 mila euro, mentre la Sicilia di 19 mila è una dicotomia che frena la crescita. Nonostante i progressi, il Mezzogiorno ancora oggi non offre a cittadini e imprese quei servizi che sono necessari oltre che fondamentali fattori di sviluppo”.

