Quando venne incoronata Miss Italia c’era Alain Delon come presidente di giuria. Serba ancora nitido il ricordo della premiazione a cui seguì un valzer sulle note del Gattopardo. Da quella sera del 7 settembre 1991, l’inizio di una straordinaria carriera tra le top models internazionali, poi la televisione, il cinema, la pubblicità, l’impegno sociale.
Apprezzata anche in teatro, è in tournée con ‘Fiori d’acciaio’ di Robert Harling. Un adattamento di Francesco Bellomo e Michela Andreozzi che firma anche la regia con Massimiliano Vado. Prodotto da Virginy e L’isola trovata, lo spettacolo vanta un cast tutto al femminile con la splendida Martina Colombari.
In Sicilia per tre appuntamenti: venerdì 28 marzo al ‘Politeama’ di Caltagirone (CT), sabato 29 e domenica 30 marzo al ‘Golden’ di Palermo.
“È proprio a Palermo che mio figlio ha deciso di trascorrere qualche mese. Non appena posso, vado a trovarlo e, da mamma, gli faccio la spesa. L’altro giorno, uscendo dal supermercato, mi è capitato un fatto insolito: dovevo percorrere cinquecento metri a piedi fino al viale dove abita Achille e mi vengono incontro alcune persone chiedendomi se avessi bisogno di aiuto con le buste. In trent’anni che vivo a Milano questo non è mai successo. Eppure sono Martina Colombari anche in Lombardia. Da romagnola, trovo l’accoglienza siciliana molto simile alla mia terra”.
Mette passione nella recitazione, come in tutto. Ma ha scoperto il teatro tardi.
“Scoprire è la parola giusta. Nella mia carriera ci sono state sempre delle scoperte, un po’ per caso, un po’ perché comunque amo le sfide, mettermi in gioco. Il teatro l’ho scoperto tardissimo, quando Corrado Tedeschi mi propose ‘Montagne russe’, una commedia francese a due, bellissima, e me ne innamorai. Poi, il produttore Francesco Bellomo, siciliano, mi venne a vedere al ‘Manzoni’ di Milano chiedendomi di leggere ‘Fiori d’acciaio’. Questo è il terzo anno che lo portiamo in tournée. È sempre cambiato il cast, io sono l’unica che è rimasta, la veterana del gruppo. Oltre all’innegabile piacere di recitarvi, in qualche modo, ne sento la responsabilità”.
Quanto tiene al palcoscenico?
“Lo ringrazio, perché non ha pregiudizi. Puoi essere alta, bassa, bella, brutta, italiana, straniera… il palcoscenico ti accoglie. Soprattutto il pubblico, una volta che riesci a coinvolgerlo nella storia, ti segue e non ti stacca più gli occhi di dosso. E non c’entra la bellezza, la notorietà di Martina o il marito famoso. In scena siamo tutte ‘neutre’, spogliate della nostra vita per indossare quella dei personaggi”.
Interpreta Anna. Tradita, maltrattata e poi abbandonata. Un ‘fiore d’acciaio’ che non si spezza. Quanto la rispecchia questa resilienza nella vita?
“Tanto. Non sono stata sfortunata come lei, ma penso che ognuno di noi abbia una missione da portare avanti. Non ci sono esistenze più facili di altre, perché nel percorso di ognuno si incontrano delle salite, delle discese, degli inciampi, degli infortuni. È la vita che ti mette alla prova. E, bella o brutta che sia, dobbiamo comunque esserle grati”.
Un testo femminile, non femminista, dove non c’è una protagonista, se non l’amicizia e la sorellanza, senza invidia né giudizi. Finzione scenica o realtà?
“Se si incontrano delle donne intelligenti può diventare anche realtà. Ma non devono essere in competizione tra loro né avere l’invidia come sentimento predominante. Da sole si produce poco. Occorre piuttosto collaborazione, bisogna chiedere aiuto quando serve, anche dimostrando le proprie debolezze”.
Che errore si commette quando si parla di parità di genere?
“Non amo parlare di ‘quote rosa’. A me piace pensare alla meritocrazia e non al fatto che ci debba essere una legge, un’imposizione. Stiamo attraversando un periodo storico di grande instabilità, che si ripercuote inevitabilmente nei rapporti interpersonali. Non ci si fida più dell’altro, si mette tutto in discussione. Ci chiudiamo nei nostri spazi, nelle nostre case. Abbiamo sempre una sorta di protezione, perché quello che vediamo fuori ci spaventa”.
Ha ancora senso definire gli uomini come il ‘sesso forte’?
“Ma no, neanche mia nonna che ha novantaquattro anni la vede più così! Il punto è che mi viene difficile pensare all’essere umano come individualità. Mi piace piuttosto immaginarlo in connessione: con un uomo, con una donna, creando una famiglia, un progetto di vita. Dobbiamo chiederci chi siamo e cosa vogliamo, iniziando a fare ‘decluttering’, cioè togliendo tutto quello che non serve e ridando valore ai nostri gesti. Ricominciare a guardare le persone negli occhi, rinvitarle fuori per un caffè, non accontentandoci di un semplice WhatsApp. Non sono gli uomini il ‘sesso forte’, quelli che portano i pantaloni, perché senza di noi non andrebbero da nessuna parte. Lo stesso vale per le donne”.
Quale pensa sia la maggiore difficoltà a cui andiamo incontro?
“Riusciamo a dividere l’atomo e non riusciamo a condividere un pezzo di pane con chi ne ha più bisogno. Prima ancora che occuparci della sostenibilità ambientale, credo si debba ripartire dalla sostenibilità umana”.
Il femminicidio, purtroppo, è una tragica piaga sociale. Senza un briciolo di umanità.
“Servono pene più severe e fare educazione nelle scuole. Bisognerebbe parlare anche di nutrizione e alimentazione, per far sì che i giovani non cadano nei disturbi del comportamento alimentare. Sarebbe necessario investire maggiori risorse su tutto ciò che riguarda i disturbi mentali, trattati ancora come argomenti tabù mentre invece sono all’ordine del giorno. Perché è proprio la società ad aver portato i ragazzi ad ammalarsi. Quattro su dieci hanno problemi: legati ai social, al sentirsi inadatti, al non sapere che cosa fare del loro futuro. Se vogliamo essere detonatori di cambiamento, dobbiamo insegnare ai nostri figli la consapevolezza, l’autostima, il rispetto”.
Ad innescare la scintilla concorre pure la bellezza, che può essere una condanna. In Italia è sinonimo di leggerezza?
“Sì, ma la ‘leggerezza’ a me piace, quando non ha una connotazione dispregiativa. C’è leggerezza in un tramonto, in un ritratto, in una poesia. Con la leggerezza si cresce, si migliora, si matura. Così come con il gusto del bello… e la bellezza. Può essere stata faticosa, forse, ma nel mio caso la considero un valore aggiunto”.
Quando ha realizzato che, oltre ad essere bella, era anche brava?
“Sono una narcisista, molto ambiziosa, ed è ovvio che la bellezza è stata una strategia da mettere subito in campo. Sull’essere brava, continuo a lavorarci. Così come sul concetto di perfezione, che pretendo da Martina e che ricerco negli altri. Mentre invece mi rendo conto che occorre essere più tolleranti e accoglienti, nei confronti di chi ci sta attorno e, prima ancora, con noi stessi”.

