Parla l'esperto, Luciano Mertoli del sindacato UILtuCS, sede di Catania: "È vero, esistono delle leggi, delle tutele però quando bisogna metterle in atto, non è mai semplice”
Maternità e lavoro, un binomio che seppur dovrebbe nel 2021 risultare ormai ben consolidato, continua a destare problemi e sollevare polemiche.
La gioia derivante dalla consapevolezza di un pargolo in arrivo mal si sposa ma in molti casi convive con la paura di doversi trovare di fronte a un bivio e scegliere tra l’essere mamma e l’essere lavoratrice.
Una gravidanza sul luogo di lavoro diviene per diverse donne quasi un tabù, per altrettanti datori di lavoro – non tutti per fortuna – una minaccia da scongiurare già in sede di colloquio, dove oltre a setacciare formazione ed esperienze lavorative, si tenta di esplorare quanto radicato sia lo spirito materno della candidata e di capire se questa sia già madre o intenda esserlo in un prossimo futuro.
Domande inopportune, fuori legge eppure spesso decisive.
“È vero, esistono delle leggi, delle tutele però quando bisogna metterle in atto, non è mai semplice”.
Ci spiega Luciano Mertoli del sindacato UILTuCS, sede di Catania, sottolineando la gravità di un tale fenomeno in un Paese come l’Italia: “Lo reputo un problema di cultura. Alcune aziende vedono la maternità e la gravidanza come una sorta di assenteismo per malattia. Per moltissime imprese anche l’allattamento viene identificato come un problema, perché si parla di una momentanea riduzione oraria fino al compimento dei 3 anni del bambino, così come il congedo parentale.
Vengono quindi a crearsi delle pressioni sulla stessa lavoratrice. Inoltre le difficoltà che la donna-lavoratrice ha nell’affrontare queste problematiche esistenti nel mondo del lavoro, soprattutto del privato, in Italia non fanno notizia”. A trovare gli ostacoli maggiori sono le lavoratrici che hanno o cercano un impiego presso piccole aziende: “Ci sono dei casi in cui anche in fase di colloquio la donna omette il proprio stato di gravidanza, finché possibile, per paura di non passare la selezione aziendale”.
Per aggirare l’ostacolo le imprese evitano l’impiego a tempo pieno: “Se andiamo a vedere le percentuali dei contratti part-time registrati nel catanese, circa l’80% di tale tipologia di contratto riguarda le donne. Sono diverse infatti le aziende che preferiscono offrire alla donna un part-time proprio in proiezione di una futura gravidanza o per la loro condizione di madre”.
Negli ultimi anni molte donne hanno iniziato a far sentire la loro voce pretendendo che venissero rispettati i propri diritti – riconosciuti dalle normative europee e nazionali – in tema di maternità, tuttavia sono ancora tante le lavoratrici che, “a causa della loro condizione di precario o per paura di essere trasferite o licenziate, preferiscono stare in silenzio e rinunciare a un diritto piuttosto che mettersi in discussione per lo stesso. Questo rende difficile quantificare i casi”.
UILTuCS interviene in difesa delle lavoratrici, proprie iscritte, “inviando una richiesta di incontro o una lettera ben specifica per conto della lavoratrice in questione e – ci spiega Luciano Mertoli -, nel 99% dei casi, le aziende solitamente si mettono in linea con gli standard previsti dalla legge. Le donne che non si rivolgono a un sindacato o a un legale probabilmente vedono però negato un sacrosanto diritto”.
TUTELE LEGISLATIVE
Sia l’Unione Europea sia lo Stato italiano tutelano, dal punto di vista legislativo, le donne in attuazione del principio di pari opportunità.
“Lo scopo della presente direttiva – 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio ndr – è assicurare l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego”. Facendo rientrare, e di fatto condannando, tra i fattori di discriminazione “qualsiasi trattamento meno favorevole riservato a una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi della direttiva 92/85/CEE”.
A disciplinare e tutelare le lavoratrici, in tema di maternità, a livello nazionale il Decreto legislativo 151/2001 emanato dal Presidente della Repubblica. Con esso vengono sanciti: il divieto di discriminazione; la possibilità di assumere personale con contratto a tempo determinato o temporaneo al fine di sostituire in tal modo lavoratrici e lavoratori in congedo.
In merito al congedo, inoltre, il decreto recita: “È vietato adibire al lavoro le donne: a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto; b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto; c) durante i tre mesi dopo il parto; d) durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta”.
Successivamente al parto vengono riconosciuti dalla normativa i congedi in caso di malattia del figlio e i permessi di riposo.
Il Decreto legislativo in questione disciplina inoltre la “tutela della sicurezza e della salute delle lavoratrici durante il periodo di gravidanza e fino a sette mesi di età del figlio” tramite il divieto di mansioni che potrebbero arrecare danno alla gestante, quali trasporto e sollevamento di pesi, lavori pericolosi, faticosi e insalubri.
Alessandra La Farina