Potremmo essere di fronte ad una scoperta medico-scientifica dal valore inestimabile Un gruppo di ricercatori, infatti, ha avanzato un’ipotesi rivoluzionaria sulla causa scatenante del morbo di Alzheimer, la principale forma di demenza al mondo che colpisce decine di milioni di persone, come indicano i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Cosa dice il nuovo studio
Secondo un nuovo studio, alla base vi sarebbe un blocco della comunicazione tra il nucleo delle cellule – dove risiede il DNA – e il citoplasma, che comprende tutto ciò che è presente nelle cellule a eccezione degli organelli e del nucleo. In questa regione avvengono molteplici funzioni essenziali, come la sintesi proteica, la glicolisi e la segnalazione cellulare, tra le altre cose. Questo blocco nel trasporto cellulare sarebbe causato dall’accumulo nel cervello dei cosiddetti granuli di stress (SG), ovvero “condensati citoplasmatici senza membrana che contengono mRNA non tradotto, fattori di pre-inizio della traduzione e proteine leganti l’RNA (RBP)”, come indicato in uno studio dell’Università di Parma. Si tratta, dunque, di aggregati di RNA e proteine che si formano in risposta allo stress, che può essere innescato da molteplici fattori, come le tossine legate all’inquinamento ambientale, la presenza di patogeni o la denutrizione.
Ecco cosa causa il morbo di Alzheimer
“La nostra proposta, incentrata sulla rottura della comunicazione tra nucleo e citoplasma che porta a massicce interruzioni nell’espressione genica, offre un quadro plausibile per comprendere in modo completo i meccanismi che guidano questa complessa malattia”, ha dichiarato in un comunicato stampa il professor Coleman. “Studiare queste prime manifestazioni dell’Alzheimer potrebbe aprire la strada ad approcci innovativi alla diagnosi, al trattamento e alla prevenzione, affrontando la malattia alle sue radici”, ha aggiunto l’esperto. Poter intervenire contro questo malfunzionamento generalizzato dell’espressione genica, che i ricercatori associano a un blackout di tutti i sistemi critici di una grande città, potrebbe prevenire gli effetti a cascata che portano alla neuroinfiammazione e alla morte neuronale, che sfociano successivamente nei sintomi della demenza. Fra i principali vi sono perdita della memoria, difficoltà nell’orientamento, problemi nel linguaggio, sbalzi d’umore e altre caratteristiche del declino cognitivo.
Poiché i segnali precoci dell’Alzheimer possono essere evidenziati ben 18 anni prima della manifestazione clinica della malattia, l’accumulo di questi granuli di stress avverrebbe in una fase ancora precedente. Di fatto, sarebbe la cronicizzazione di questi aggregati a bloccare il fondamentale trasporto cellulare tra nucleo e citoplasma, innescando tutti i percorsi biologici che portano alla malattia. Riconoscere e colpire questi granuli di stress potrebbe rappresentare una svolta nella diagnosi e nei trattamenti dell’Alzheimer: “Il nostro articolo contribuisce al dibattito in corso su quando inizia davvero l’Alzheimer, un concetto in evoluzione plasmato dai progressi della tecnologia e della ricerca. Le domande chiave sono quando può essere rilevato per la prima volta e quando si dovrebbe iniziare a intervenire, entrambe con profonde implicazioni per la società e per i futuri approcci medici”, ha chiosato il professor Coleman. I dettagli della ricerca “Massive changes in gene expression and their cause(s) can be a unifying principle in the pathobiology of Alzheimer’s disease” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Alzheimer’s and Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association.
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