La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha inserito nelle istruzioni che impartisce ai ministri del proprio Governo un nuovo “reato”, non punibile penalmente, ma certamente molto rilevante dal punto di vista politico.
Qual è questo “reato” cui ha fatto riferimento la presidente del Consiglio? Quello di “inerzia”. Si tratta di una parola desueta, che definisce “la qualità negativa come tendenza abituale procedente da pigrizia, da indolenza, da torpore spirituale”, derivanti da “uno stato di inazione, di inoperosità volontaria o dovuta ad altre cause”.
Quando ho letto tale parola non mi sembrava comportasse un significato grave come prospettato. Ma, alla luce della stessa, non comprendo se la presidente Meloni si sia resa conto, quando l’ha pronunziata, della sua pesantezza e della sua gravità.
In ogni caso, è del tutto evidente che l’attività politica debba essere calendarizzata, debba procedere con una cadenza ritmica propria della musica, in modo da raggiungere gli obiettivi indicati nel programma elettorale del Governo con puntualità.
Ma quanto precede ci sembra un’utopia (ricordatevi Thomas More e la sua “Utopia” del 1516) se lo paragoniamo allo scenario che si presenta agli occhi dei cittadini da cinquant’anni a questa parte da un punto di vista metodologico e più precisamente dall’epoca di Mani pulite e della riforma elettorale entrata in vigore nel 1994.
Perché si tratta di un’utopia? Perché nessun responsabile delle istituzioni, eletto o nominato, uomo o donna, giovane o anziano, si è formato in modo ordinato per avere una mentalità organizzata, secondo cui si pone di raggiungere obiettivi concreti e, soprattutto, si dà una cadenza ritmica, sul modello musicale, per raggiungere tale risultato in un tempo ragionevole.
Parliamo di organizzazione, quella scienza inventata negli ospedali canadesi nel 1937, materia insegnata poco nelle Università, adottata poco in tutte le strutture pubbliche e sconosciuta dalla maggior parte di quelli che lavorano nella Pubblica amministrazione.
Perché Meloni ha minacciato di punire i ministri che non hanno la capacità “del fare”?
Perché probabilmente si è accorta che il suo programma non viene attuato nei tempi previsti e questo le fa assumere responsabilità politiche nei confronti di elettori ed elettrici.
La falla più grossa che c’è nel nostro Paese è l’incapacità di spendere le risorse messe a disposizione dall’Unione europea, in particolare con il Pnrr e il Piano operativo settennale, o con i Fondi di sviluppo e coesione previsti dalle leggi nazionali, o con altre risorse previste nei bilanci (nazionale, regionali, provinciali e comunali) per spese di investimento.
Per esempio, la Regione siciliana in quattro anni, secondo il Mef, ha speso appena l’1,2 per cento, anziché il 60 per cento delle risorse disponibili. Ma questo è un fatto regionale. Nelle regioni del Nord la spesa per investimenti procede in maniera ben più rapida ma non ottimale.
La minaccia di Meloni, però, è fatta di parole che non possono trovare concretezza, per il semplice motivo che se mancano il binario e l’indicazione delle stazioni ove il treno si deve fermare, non è possibile controllare la puntualità delle realizzazioni.
La metafora prima indicata ve la ripetiamo da tanto tempo, non già per darvi noia, ma perché riteniamo che essa faccia vedere con grande chiarezza le responsabilità di chi non agisce come dovrebbe.
Perché le parole della presidente Meloni non hanno concretezza? Perché l’unica concretezza dovrebbe essere quella di revocare la fiducia ai ministri inerti e questo creerebbe lo sconvolgimento degli equilibri all’interno della coalizione, che rende impotente la Prima ministra.
Diverso caso sarebbe se ella fosse stata eletta dal Popolo, o nella stessa qualità o come presidente della Repubblica, come accade in Francia o negli Stati Uniti.
La nostra, come altre, è diventata una democrazia debole e perciò inefficace, che sta provocando malanni e mal di pancia all’intera popolazione. Il dato incontrovertibile è la stagnazione economica, con un Pil che si misura con gli zeri e non con le unità.

