Quando i sondaggisti disegnano l’Italia, il colore azzurro risulta la parte preponderante. Non solo perché 15 delle venti regioni sono governate dai Conservatori, ma perché sembra ormai acclarato il dato che gli elettori del 25 settembre prossimo consegneranno il Paese a quella coalizione.
Non sappiamo se i sondaggisti ci azzeccano, tuttavia non possiamo negare l’alta possibilità che i Conservatori possano conquistare – con il loro 46% di voti – ben il 60% di seggi di Camera e Senato. Dal che – secondo gli accordi tra Forza Italia, Lega e FdI – Giorgia Meloni, questa ragazza che si è fatta da sé, dovrebbe ricevere l’incarico di primo ministro dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Se così sarà, la stessa Meloni proporrà a Mattarella l’elenco dei ministri che comporranno il suo Gabinetto.
Spesso le previsioni sono state disattese e quindi non vogliamo fondare un ragionamento su di esse, perché potrebbe essere destituito di fondamento nel caso in cui i risultati non combaciassero con gli stessi sondaggi. Tuttavia, vogliamo provare a immaginare cosa accadrà quando le Camere si riuniranno (entro ventigiorni dal 25 settembre) per eleggere i propri presidenti.
A questo punto, il Presidente della Repubblica inizierà le consultazioni di tutti i partiti presenti in Parlamento e successivamente procederà ad affidare l’incarico alla persona che ha più probabilità di formare il Governo, in quanto indicato dalla maggioranza dei parlamentari eletti per Camera e Senato.
Dovrebbe essere Giorgia Meloni, la quale sta facendo un’operazione di lifting politico per europeizzarsi, ovvero spostarsi verso le posizioni centrali del Parlamento europeo. Per questo ha dichiarato fedeltà alla Nato e all’Ue, ha promesso sostegno all’Ucraina, pur non mettendo molto in evidenza il proprio dissenso verso Putin.
A riguardo dobbiamo dire che è indecorosa e poco obiettiva la caccia a tutti coloro i quali esprimono pareri favorevoli al presidente della Federazione russa, dimenticando il principio fondamentale ed etico che l’informazione debba essere sempre bilanciata perché proveniente da due fonti diverse.
Dunque, la protagonista di Io sono Giorgia – slogan gridato in occasione di una manifestazione a Roma nel 2019 e ripetuto in più occasioni, anche a livello europeo, divenuto tormentone in discoteche e media sociali – si può preparare a diventare primo ministro, con tutte le conseguenti responsabilità di ordine generale e soprattutto riguardanti due questioni molto importanti.
La prima riguarda la stesura del Bilancio dello Stato 2023, che deve tener conto dell’enorme debito pubblico e, contestualmente, dell’allentamento della crescita. Vero è che il 2022 si dovrebbe chiudere con un incremento del Pil del 3,4%, ma è anche vero che le agenzie di rating prevedono nel 2023 crescita zero, mentre inesorabilmente il numeratore della frazione debito/Pil aumenterà di 60-70 miliardi.
La seconda riguarda l’esecuzione delle riforme previste dal Pnrr – condizione necessaria per l’erogazione dei fondi – nonché la formulazione dei progetti che Enti pubblici e imprese devono redigere secondo i regolamenti Ue e la loro attivazione, dopo l’autorizzazione europea, per aprire i cantieri e chiuderli entro il 2026.
Già le due questioni farebbero tremare i polsi a chiunque, ma non all’intrepida Giorgia, proveniente dalla Garbatella di Roma. Tuttavia non finisce qui, perché vi è una terza questione non meno importante e cioé la necessaria rivoluzione, che va fatta immediatamente, della Pubblica amministrazione, inserendo i principi di pari possibilità per tutti, di merito, responsabilità e produttività, un’organizzazione per obiettivi.
In atto è formalmente così, ma è del tutto ridicolo il meccanismo che fissa tali obiettivi, in quanto sono gli stessi dirigenti a indicarli ed essi prendono come parametri quelli raggiunti l’anno precedente. Cosicché si evita qualunque tipo di innovazione.
Un’ultima questione, appena accennata ma non meno importante: Meloni dovrà difendersi dall’attacco dei Mercati, sicuramente a lei ostili, che tenteranno con ogni mezzo di fare salire lo Spread. Ricordiamoci cosa accadde al Governo Berlusconi nel 2011: Spread oltre 500 e obbligate dimissioni.

