Roma, 18 dic. (askanews) – Il mercato del lavoro italiano si avvia verso il 2026 con una tensione strutturale sempre più evidente. Talent shortage, elevata inattività e disallineamento tra competenze e ruoli stanno ridisegnando le priorità delle aziende, imponendo un cambio di paradigma nelle politiche di gestione delle persone. A delineare lo scenario, informa una nota, è un’analisi di 24ORE Business School, digital business school del Gruppo Digit’Ed, che individua tre grandi trend destinati a segnare il lavoro del futuro. Dalla retention alla prevention: formazione strutturale come leva strategica e sociale
Il primo grande trend è il passaggio dalla logica di retention – trattenere i talenti – a quella di prevention, ovvero prevenire disingaggio, obsolescenza delle competenze e fuoriuscita delle persone prima che questi fenomeni si manifestino. In questo contesto, la formazione continua diventa il principale strumento di azione per le organizzazioni. “Secondo l’Inapp, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, in Italia circa un lavoratore su cinque (21%) è under-qualified, mentre i dati Istat mostrano che solo il 66% della popolazione è potenzialmente impiegabile: una persona su tre è inattiva”, spiega Christian Guerrini, coordinatore scientifico dei Master HR di 24ORE Business School e Senior HR Director di Jakala. “Questo quadro alimenta il talent shortage, ovvero la carenza di professionisti in settori chiave, che finisce per rallentare la crescita del Paese. Per questo la formazione non può più essere solo responsabilità e iniziativa individuale: deve diventare una leva strutturale di impresa, capace di rafforzare engagement, senso di appartenenza e sostenibilità organizzativa nel lungo periodo”.
Upkilling e reskilling evolvono così da benefit a investimento strategico e strumento di responsabilità sociale, in grado di contrastare inattività, mismatch di competenze e perdita di produttività. Le aziende assumono un ruolo centrale non solo nella competitività, ma anche nell’inclusione e nell’attivazione del capitale umano.
Il secondo trend riguarda la diffusione pervasiva dell’intelligenza artificiale, che sta trasformando ruoli, competenze e modelli operativi. Accanto alla spinta all’efficienza, emerge però una grande opportunità: la democratizzazione dell’AI, sempre più accessibile ai singoli lavoratori.
“L’intelligenza artificiale restituisce tempo e valore alla professione: libera dalle attività ripetitive e permette di concentrarsi su ciò che rende umano il lavoro – relazioni, cura, attenzione e pensiero critico”, sottolinea Guerrini. L’AI non sostituisce il lavoro umano, ma ne ridefinisce il contributo, valorizzandone le componenti distintive. Dal lavoro come esperienza al lavoro come senso: il nuovo umanesimo organizzativo
Nel contesto del quiet quitting, ovvero la tendenza a fare il minimo indispensabile sul posto di lavoro, il lavoro non può più essere interpretato in modo esclusivamente transazionale. Le organizzazioni sono chiamate a spiegare perché esistono e quale contributo offrono alla società, costruendo una relazione più autentica e significativa con le persone.
Nel 2026 le direzioni HR evolveranno verso un ruolo di architetti di sistemi organizzativi orientati alla human experience. Purpose autentico, coerenza valoriale e narrativa credibile diventano elementi centrali per attrarre e attivare le persone, in particolare le nuove generazioni. Si rafforza il passaggio dall’employee experience alla human experience, attraverso performance management partecipativo, pratiche diffuse di speak up e un utilizzo intelligente della tecnologia per personalizzare percorsi, comunicazioni e iniziative, anche nelle grandi organizzazioni e nei contesti produttivi.
Il messaggio chiave è chiaro, come conclude il docente di 24ORE Business School: il futuro del lavoro non è una sfida tra uomo e macchina. Accanto all’intelligenza artificiale resterà indispensabile l’intelligenza artigianale, fatta di competenze, relazioni inclusive e responsabilità condivisa. Un equilibrio che determinerà la capacità delle imprese di crescere e innovare nel lungo periodo.

