Potrebbero costituire un’importante svolta nelle indagini riguardanti Matteo Messina Denaro e coloro che gli gravitano attorno le impronte digitali trovate nel covo di vicolo San Vito, a Campobello di Mazara. L’ultima dimora di uno dei più importanti boss di tutta Cosa nostra, scoperta poche ore dopo la sua cattura, è stata setacciata da cima a fondo dai carabinieri. Circa una ventina le tracce lasciate, in più punti, oggetti inclusi, da coloro che hanno frequantato il covo.
Scattano adesso le indagini volte ad approfondire a chi appartengono. Tra le principali indiziate Martina Gentile, attualmente ai domiciliari dalla scorsa settimana con l’accusa di favoreggiamento e procurata inosservanza della pena aggravate. Figlia della maestra Laura Bonafede, storica amante del boss, le sue tracce sono state trovate su uno dei dvd presenti nel nascondiglio. Ciò che gli investigatori cercano di appurare è se la giovane, per conto del boss abbia svolto delle “missioni” a Palermo, visto che, stando alle indagini risulta che più volte si sia recata presso il capoluogo fingendo al lavoro di stare male.
L’attenzione non è comunque incentrata soltanto su di lei bensì su una serie di soggetti che, Messina Denaro, nel corso della sua lunga latitanza ha liberamente frequentato grazie ad una condotta di vita quasi normale, comprendente viaggi anche fuori dalla Sicilia. Tra questi Giovanni Luppino, imputato di associazione mafiosa e arrestato, assieme a Denaro, il 16 gennaio scorso. All’accusa di avergli fatto da autista, Luppino risponde di non essere stato consapevole, per lungo tempo, che quell’uomo che si faceva chiamare Francesco fosse il boss.
Stando alla sua versione, “Andrea Bonafede, mio compaesano che non frequentavo abitualmente nel 2020 mi presentò un uomo sostenendo che fosse suo cugino e chiedendomi di accompagnarlo a Palermo per delle cure”, ha detto ai pm Piero Padova e Gianluca De Leo. “Un giorno, però, il passeggero si sentì male durante uno dei viaggi per il capoluogo” e all’invito di Luppino di andare in ospedale avrebbe detto: “Portami a casa, sono Messina Denaro non posso andare in ospedale”. Da allora “per ragioni umanitarie”, sapendo che il boss era gravemente malato, l’imputato l’avrebbe continuato ad accompagnare alle terapie. Il padrino gli avrebbe di volta in volta lasciato nella cassetta delle poste un biglietto con l’orario dell’appuntamento successivo.
Per nulla convinti, gli inquirenti hanno voluto vederci chiaro. Luppino ha negato di aver rapporti di frequentazione con Bonafede e con la cugina Laura, altra favoreggiatrice del boss, ma gli investigatori hanno scoperto che la donna ha battezzato i figli dell’imprenditore. Altro importante elemento riguarda il fatto che Luppino, prima delle manette, avrebbe chiesto denaro ad alcuni imprenditori dicendo che era un emissario del padrino di Castelvetrano e che i soldi erano destinati al boss. Una circostanza questa, confermata dai testimoni a cui l’autista del capomafia aveva chiesto le somme che hanno negato però di aver pagato. Inoltre, dalle analisi delle celle telefoniche risulta che Luppino avrebbe portato il capomafia in clinica per ben 50 volte in due anni.