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Messina, matrimoni falsi per regolarizzare immigrati: cinque arresti

Messina, matrimoni falsi per regolarizzare immigrati: cinque arresti

Il gruppo, capeggiato da un cittadino marocchino residente a Messina, anche due donne italiane collaboravano a individuare le finte spose e tutti i dettagli per simulare le finte nozze

La Polizia di Stato ha eseguito la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di cinque soggetti indagati, a diverso titolo, per i reati di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’ingresso clandestino in Italia ovvero della permanenza, parimenti illegale, di cittadini extracomunitari irregolari sul territorio nazionale.

Le indagini

Le indagini, condotte dalla Squadra Mobile e coordinate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Messina – Direzione Distrettuale Antimafia, hanno consentito di far luce su un’associazione criminale transnazionale finalizzata ad eludere la normativa nazionale in materia di immigrazione.

Matrimoni fittizi tra donne italiane ed extracomunitari

Secondo l’ipotesi di accusa, che dovrà trovare conferma nei successivi gradi di giudizio trattandosi ancora di indagini preliminari durante le quali sono stati valutati dal G.I.P i gravi indizi raccolti, gli arrestati, insieme ad almeno altri due soggetti non identificati ed attivi in territorio francese, avevano strutturato un’associazione in grado di organizzare matrimoni fittizi tra donne italiane e uomini extracomunitari, e viceversa, al fine di far ottenere loro il permesso di soggiorno per motivi familiari.

Il “gruppo” pensava a tutto, dalle finte spose alla cerimonia

Il gruppo, capeggiato da un cittadino marocchino residente a Messina e di cui facevano parte due donne italiane alle quali era demandato anche il compito di individuare le finte spose, si occupava di curare ogni dettaglio connesso alle future nozze, con stabile ripartizione di compiti e dietro il pagamento di somme di denaro per tutti i partecipanti alla messa in scena.

Falsi testimoni e alloggi riempiti per simulare la convivenza

Gli indagati si preoccupavano, quindi, di far incontrare i futuri coniugi, a volte gli stessi componenti del gruppo, di seguire tutta la trafila amministrativa propedeutica alla cerimonia presso i vari consolati, di reclutare i falsi testimoni e di reperire gli alloggi per simulare la coabitazione in vista dei controlli successivi.

Nulla era lasciato al caso: venivano acquistate le fedi (15\20 euro di valore), anticipate le spese per l’acconciatura e l’abito, seguite, ove necessario, le pratiche per il divorzio da matrimoni (fittizi) precedenti per riacquistare lo stato libero ed impartite le istruzioni sul comportamento da tenere in occasione dei controlli di polizia volti alla verifica della effettiva convivenza.

Nel caso di rigetto della richiesta di soggiorno si procedeva col ricorso

Anche nell’ipotesi in cui la richiesta di soggiorno fosse stata rigettata, la banda si premurava di seguire tutta la procedura per il ricorso. Il mancato accoglimento dell’istanza poteva derivare, in talune occasioni, dalla inattendibilità delle riposte fornite dallo sposo durante l’istruttoria; emblematico il caso in cui l’uomo non solo non ricordava la data del matrimonio, ma aveva evidenziato di sconoscere finanche le più elementari abitudini di vita coniugale quotidiana. Il compenso per il finto coniuge variava tra i 2500 e i 3000 euro mentre le spese complessive per il soggetto interessato ad ottenere il titolo di soggiorno superavano, in alcuni casi, i 10mila euro.