ROMA – Mezzogiorno italiano che seduce e abbandona, pronto a svenarsi per garantire un’istruzione scolastica e universitaria d’eccellenza, ma poi incapace di offrire ai suoi cittadini più qualificati prospettive di lavoro commisurate alla loro preparazione culturale e professionale. Così, dopo la laurea, la scelta di molti meridionali è nota: “Paese mio ti lascio, io vado via”. La destinazione, spesso, è il Nord Italia. In circa ventiquattro anni, sono stati oltre 580 mila i laureati in un ateneo del Sud che hanno deciso di trasferirsi al Settentrione. Ma protagonisti della fuga non sono solo i numeri. Quando a compiere l’esodo Sud-Nord sono le figure maggiormente qualificate, c’è di mezzo anche una perdita economica immediata. La carenza nel Mezzogiorno di adeguate possibilità lavorative post laurea, “vanifica” il precedente investimento pubblico in formazione. Anzi, ne fa maturare i frutti in altre aree del Paese. E così il Sud semina, il Nord raccoglie.
116 miliardi di euro investiti e perduti
Di preciso, dal 2000 al 2024, ammonta a circa 116 miliardi di euro la somma investita e poi perduta nelle regioni del Mezzogiorno per formare fino alla laurea persone che, dopo il conseguimento del titolo, sono andate a lavorare nel Nord Italia. Si tratta di una media di circa 4,6 miliardi all’anno (e di 6,8 miliardi nel solo ultimo quinquennio) di investimenti pubblici in istruzione che, seppur sostenuti al Sud, vengono di fatto trasferiti, e in pratica regalati, al sistema produttivo settentrionale. Un flusso senza compensazione. Contro i 580 mila laureati trasferiti dal Sud al Nord, infatti, sono circa 200 mila quelli che hanno fatto il tragitto inverso. Di conseguenza, gli investimenti appena sottolineati rappresentano, in miliardi di euro, un saldo negativo che pesa sul Mezzogiorno, e che va a vantaggio del Settentrione.
L’emorragia di competenze secondo il rapporto Svimez
Le cifre emergono dall’ultimo rapporto Svimez sull’economia e la società del Mezzogiorno, in cui si parla esplicitamente di una vera e propria “emorragia di competenze” in uscita dalle regioni del Sud. Emorragia che, appunto, implica un danno economico non indifferente. Il fenomeno delle migrazioni di capitale umano qualificato è stato affrontato, tra le righe, anche in un recente dibattito sul tema della cosiddetta mobilità sanitaria, ossia le fughe dei pazienti da una regione all’altra in cerca di una struttura ospedaliera adatta alle proprie esigenze. Un fatto “immorale”, così l’aveva definito Luca Zaia, al tempo ancora presidente della Regione Veneto, riferendosi al caso di due pazienti siciliani in cura all’ospedale di Treviso. Non si era fatta attendere la replica di Toti Amato, presidente dell’Ordine dei medici di Palermo. “Zaia dimentica – aveva detto, tra l’altro, Amato – che regioni come il Veneto e la Lombardia, così come altri Paesi esteri, beneficiano del contributo professionale e umano dei medici siciliani che lì trovano le condizioni per lavorare”. (Ricordiamo, en passant, che la mobilità sanitaria nel 2023 è costata alla Sicilia un debito di quasi 140 milioni, procurando invece al Veneto un credito di oltre 115 milioni di euro).
Un disequilibrio che impoverisce il Sud
L’inefficacia delle politiche del lavoro nell’ottica di un riequilibrio dei mercati del Sud, dunque, non solo affievolisce le speranze di un futuro rilancio economico di quest’area del Paese, ma finisce anche per arricchire il Nord con risorse di fatto erogate nel Mezzogiorno. Tornando, infatti, alla spesa per la formazione scolastica e universitaria, è lo stesso rapporto Svimez a sottolineare come si possa parlare a tutti gli effetti di “una perdita secca” quando ci si riferisce a quella “cumulata per il Mezzogiorno, stimata in termini di costo di formazione dei laureati che hanno maturato il proprio capitale umano nel Sud e poi si sono trasferiti”. L’ammontare dell’investimento meridionale “disperso” e consegnato al Nord (per un totale, come detto, di quasi 116 miliardi di euro), ha seguito un trend in costante aumento dal 2000 a oggi, partendo da un saldo negativo di circa 2 miliardi di vent’anni fa, fino a raggiungere picchi di quasi 9 miliardi perduti, rispettivamente, nel 2022 e nel 2023.
La pandemia come unica pausa temporanea
Una momentanea battuta d’arresto dei flussi, con una risalita di circa 2 miliardi di euro d’investimenti e una riduzione dei trasferimenti di oltre 7 mila laureati, si è registrata soltanto nel 2020, anno in cui però la pandemia da Covid-19 ha interferito in modo più acuto sulla mobilità e ha implicato la diffusione di forme di lavoro da remoto. Tant’è che, già nel 2021, la curva delle migrazioni qualificate da Sud a Nord è tornata a crescere, comportando in un solo anno un aggravio di oltre 1 miliardo dell’investimento disperso.
Laureati in fuga più dei diplomati
Il 2022 poi, secondo quanto rilevato da Svimez, è stato l’anno dell’impennata, con i trasferimenti dal Mezzogiorno al Centro-Nord dei laureati (circa 43 mila persone) che hanno superato per la prima volta quelli dei diplomati (circa 40 mila). Un sorpasso che, poi, si è ripresentato nel 2023 e che si riflette su un dato in controtendenza riportato da Svimez: se da una parte, come detto, aumenta nel tempo la mobilità post lauream, di contro diminuisce quella ante lauream.
Meno studenti che si spostano per studiare, più laureati che fuggono
Nel 2024-25 circa 17 mila matricole provenienti dal Sud si sono iscritte a corsi di laurea triennale in un’università del Centro-Nord. L’anno prima il dato era più alto, 20 mila unità. Il risultato, pertanto, è quello di una diminuzione delle migrazioni al Settentrione da parte di diplomati meridionali che intendono intraprendere il percorso universitario. Contrazione che può essere interpretata come maggiore attrattività degli atenei del Mezzogiorno o come indice, si legge nel report, della “minore propensione alla migrazione anticipata” degli studenti in ragione di una minore capacità di spesa delle famiglie. Una volta concluso il percorso di studi, però, la storia cambia e il flusso di laureati verso il Nord diventa impetuoso.
Il danno strutturale per lo sviluppo del Sud
Ulteriore dinamica che dimostra, intanto, che le università del Sud laureano più cervelli in fuga che in passato, e, in seconda battuta, evidenzia come lo spopolamento del Mezzogiorno ormai colpisca principalmente figure già altamente istruite e, quindi, sia legato in sostanza non tanto a esigenze formative quanto a carenze qualitative del mercato del lavoro.
Il danno economico che le migrazioni qualificate provocano in termini di investimento pubblico infruttuoso, è destinato a ripercuotersi su diversi comparti, dal commercio alla sanità, fino anche alla sostenibilità dei servizi, erodendo il tessuto produttivo dei territori del Sud Italia e contribuendo a incrementare i gap di sviluppo con il Settentrione, già alimentati da disparità storiche.
Un impatto duplice secondo Svimez
Secondo il rapporto Svimez, di preciso, la dinamica in questione ha un impatto su due fronti. “Da un lato priva le economie meridionali delle competenze necessarie” per sostenere transizioni tecnologiche, organizzative e ambientali già in corso nelle aree più forti del Paese. Dall’altro lato, alimenta un trasferimento netto e permanente di risorse pubbliche: in assenza di politiche in grado di creare condizioni di lavoro qualificate e stabili nelle regioni meridionali, questo meccanismo continuerà a indebolire le basi demografiche, produttive e fiscali del Mezzogiorno.

