Troppi migranti muoiono nel Mediterraneo e troppi rischiano la vita per la fuga. Su QdS.it un’analisi della situazione in mare e del “modello” siciliano ed europeo per l’accoglienza tra luci e ombre
La gestione delle migrazioni è da sempre causa di dibattiti a livello nazionale e internazionale. In virtù della sua posizione strategica nel cuore del Mediterraneo, la Sicilia gioca un ruolo centrale nei processi di soccorso e accoglienza di persone in fuga dai propri Paesi.
Da sempre crocevia di popoli e culture, la Sicilia è una terra ricca di storia e tradizioni ma anche di crisi (dall’economia alla società e alla pandemia, i problemi non sono certo pochi). La questione migranti – in un contesto già abbastanza compromesso – è stata oggetto di un confronto non proprio pacifico. La scarsa considerazione delle autorità internazionali, l’opinione pubblica e le difficoltà economico-sociali locali hanno da parecchio tempo spostato in secondo piano il dramma che si consuma giornalmente nel Mediterraneo.
La situazione, però, non può lasciare indifferenti. E soprattutto non può essere ignorata dalla Sicilia, un’isola per la quale il Mediterraneo è stata la “culla” di una grande civiltà e l’accoglienza un modello sociale costante. Parlare di questo è un dovere e QdS.it ha deciso di dar voce a chi fa del soccorso e dell’accoglienza di migranti e rifugiati in Sicilia (e non solo) una missione, tra successi e difficoltà.
L’inverno/inferno in mare: il dramma in fatti e numeri
Il dramma che si consuma nel Mediterraneo emerge bruscamente e riaccende il dibattito ogni volta che si trasforma in tragedia. Una delle ultime è avvenuta a poche miglia da Lampedusa nella notte tra il 24 e il 25 gennaio: 7 persone sono morte di freddo in mare mentre attendevano di iniziare una nuova vita. Per loro non c’è stato futuro e lo stesso per molti altri: secondo stime di IOM (International Organization for Migration), solo dall’inizio del 2022 risulterebbero 155 persone disperse nel Mediterraneo, compresi 2 bambini.
E il quadro generale non accenna a migliorare. “La situazione è ancora molto grave: ci sono ancora migliaia di persone in fuga e troppe stanno annegando o sono state respinte negli orribili campi libici. La pandemia non ha aiutato, anzi. Durante l’inverno, poi, il tempo è peggiore e diventa molto pericoloso per chiunque tenti di fuggire attraverso il Mar Mediterraneo”, è il commento di Sea Eye.
Una situazione, purtroppo, non nuova. “Si tratta di un fenomeno ventennale, quindi non si può più parlare di emergenza. È ordinarietà”, spiega Marta Bernardini, coordinatrice di Mediterranean Hope (programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia).
Mediterranean Hope opera anche all’Osservatorio di Lampedusa, nell’Agrigentino, attivo dal 2014. Da lì è possibile seguire attentamente l’evoluzione della situazione nel Mediterraneo. A riguardo, Marta Bernardini spiega: “Nel 2021 sono arrivate sull’isola di Lampedusa – uno dei punti di approdo principali – più di 32mila persone, un numero cresciuto rispetto all’anno precedente, così come quello di vittime e dispersi. Solo nel gennaio 2022 a Lampedusa sono arrivate quasi 2mila persone. Le persone partono comunque, nonostante l’inverno e il maltempo, perché devono fuggire. Così aumentano i pericoli di naufragi e morti in mare”. MIGRANTI IN SICILIA: DA DOVE PROVENGONO E QUALI ROTTE SEGUONO (CONTINUA QUI LA LETTURA)
Migranti in Sicilia: da dove provengono e quali rotte seguono?
L’etichetta “migranti” nasconde una complessità inaudita. Non tutte le persone riunite nello stesso barcone derivano dal medesimo luogo e hanno affrontato situazioni uguali. Sono tutti in fuga, ma alle spalle hanno esperienze e traumi diversi.
Chi arriva in Sicilia, in genere, proviene dall’Africa subsahariana, dall’Egitto, dal Nordafrica o perfino dal Bangladesh. Arrivano gruppi eterogenei che solitamente affrontano due rotte principali, che partono rispettivamente dalla Libia e dalla Tunisia.
“Il luogo di partenza non è più solo la Libia. È importante anche la rotta dalla Tunisia. Le persone che arrivano dalla Tunisia non sono tutte tunisine, ma vengono principalmente dall’Africa subsahariana. Anche dalla Libia arrivano persone di diverse nazionalità e il numero di arrivi dalla Libia, tra l’altro, è maggiore perché le imbarcazioni che attraversano il Mediterraneo da lì sono più grandi”, spiega Marta Bernardini.
L’apertura della rotta tunisina ha comportato una serie di cambiamenti da considerare nell’analisi delle migrazioni verso la Sicilia. “La rotta tunisina è meno nota, ma dall’estate scorsa l’arrivo di persone dalla Tunisia è diventato consistente (anche per l’instabilità nel Paese, ma non solo). È importante ricordare che le rotte negli anni si sono modificate in base anche alle politiche migratorie fatte dai Paesi europei. Negli anni abbiamo visto l’alternarsi di rotte, nazionalità, della composizione demografica: per esempio, dalla Tunisia arrivano minori non accompagnati e donne in maggior numero rispetto alla Libia. Vediamo arrivare molte famiglie dalla Tunisia e questo è un fattore di novità interessante rispetto ad altri anni”, afferma la coordinatrice di Mediterranean Hope.
Le emergenze umanitarie (in)visibili
Certe situazioni internazionali ottengono più attenzione di altre, è inevitabile. Prima la Libia, poi la Siria. Esistono però anche quelle che Marta Bernardini definisce le “frontiere dimenticate”, come la Bosnia e l’Afghanistan, al centro dell’attenzione per pochi momenti e poi finite nel dimenticatoio. Quelle rotte che forse non riguardano da vicino la Sicilia, ma che sono tutte di interesse collettivo.
“Ci sono molte aree di crisi nel mondo. A volte le persone in Europa dimenticano le tragedie che accadono lontano o si accorgono solo di quelle che prendono i riflettori nei media”, spiega Sea Eye, aggiungendo che “Abbiamo bisogno di riferire, pensare e agire in modo più globale. I cuori dell’Europa, invece, nel tempo sono diventati sempre più freddi, distanti e ignoranti”.
“Stiamo parlando di persone qui”. Persone la cui esistenza e i cui nomi vengono dimenticati quando l’attenzione mediatica si spegne. Di migranti e rifugiati si parla in termini quasi esclusivamente economici, escludendo i traumi, i segni visibili e non delle violenze subìte, il peso di continui respingimenti (solo in Libia, secondo i dati OIM citati da Marta Bernardini, il respingimento dalla cosiddetta Guardia Costiera Libica avviene nel 50% dei casi).
Accanto alla consapevolezza di essere quasi “invisibili” per molti, poi, per chi fugge dal proprio Paese d’origine ci sono anche il rischio da assumersi per migliorare la propria vita e il luogo percorso per inserirsi in una realtà nuova e talvolta ostile. OSPITALITÀ E INCLUSIONE: LA “RETE” DI PALERMO (CONTINUA LA LETTURA)
Ospitalità e inclusione: la “rete” di Palermo
Dopo il viaggio in mare, c’è l’ospitalità. Molte città siciliane offrono modelli di accoglienza guardati con attenzione, come Palermo. Lo conferma il sindaco Leoluca Orlando, che è anche presidente di Anci Sicilia: “Il Comune porta avanti da decenni una politica di accoglienza qualificata accedendo a progettualità nazionali ed europee che potenziano l’attività dell’Amministrazione”, spiega, elencando i progetti attivi (qui la dichiarazione completa). La lista include sostegni per MSNA (Minori stranieri non accompagnati) e soggetti vulnerabili, nonché attività volte alla formazione di operatori e volontari, al contrasto della violenza e all’orientamento lavorativo.
Non finisce qui: “Il Comune di Palermo ha sostenuto anche numerose azioni per migliorare il sistema di accoglienza attraverso il supporto di associazioni del terzo settore, anche fornendo degli spazi, all’interno di alcune istituzioni scolastiche, dove sono stati attivati dei laboratori sociali ed educativi finalizzati a combattere alcune fragilità come la povertà educativa e la dispersione scolastica, purtroppo fenomeni rilevanti sul territorio cittadino, anche con riferimento ai minori migranti”, spiega Orlando.
La cultura dell’accoglienza c’è, i progetti esistono. Rimane un problema, non locale ma internazionale: “Servono accordi che facilitino l’accesso ai diritti dei migranti attraverso procedure semplificate e coerenti che evitino frammentazioni di competenze e dispersione di investimenti”, commenta il sindaco Orlando.
“I migranti interrogano l’Europa sui loro diritti umani. E la civiltà globale ci viene data proprio dalla mobilità internazionale che mette in crisi i concetti di identità, patria e Stato. Identità che – come sancisce la Carta di Palermo – non dipende dal sangue. Palermo e la Sicilia possono avere un ruolo, in tal senso, fondamentale: rappresentano l’avamposto di un cambiamento che è in atto e a cui bisogna dare seguito con politiche concrete”, dichiara Orlando.
Doppia cittadinanza e convivenza a Mazara del Vallo
Anche Mazara del Vallo (TP) offre un modello. “La città per storia, tradizione e posizione geografica è certamente tra le realtà italiane nelle quali il tema dell’immigrazione è particolarmente sentito. La presenza di un’importante comunità straniera, in particolare tunisina, fa della nostra Città un esempio di pacifica convivenza e rispetto tra culture, religioni e popoli diversi, dove la diversità non è un ostacolo ma un arricchimento. Su 50mila abitanti, sono circa 5.000 i tunisini che vivono e lavorano qui. Almeno un terzo ha la doppia cittadinanza. Tutti sono ben inseriti nel tessuto sociale ed economico”, spiega il sindaco Salvatore Quinci.
Anche se non direttamente coinvolto nelle operazioni di sbarco, il Comune collabora con Prefettura, Capitaneria di Porto, Protezione Civile comunale e associazioni per garantire assistenza a chiunque ne abbia bisogno. Esistono un centro di accoglienza, una comunità SAI/Siproimi per minori stranieri non accompagnati e una comunità alloggio anche per neomaggiorenni, “già finanziata dal Ministero dell’Interno con circa 1 milione 800mila euro e in corso di attivazione”.
In più: “Alle strutture direttamente riconducibili al Comune s’integrano l’associazionismo e il volontariato con le azioni portate avanti dalla Fondazione San Vito Onlus e dalla Casa Comunità Speranza: un centro di aggregazione giovanile con sede nella Qaṣba di Mazara il cui obiettivo è quello di proseguire l’attività sociale e caritatevole delle religiose francescane, ispirandosi ai principi della valorizzazione della persona umana, della tutela e della sua crescita nell’ambito dei valori della multiculturalità e del dialogo”.
Anche qui un problema esiste: “La principale difficoltà è la penuria delle risorse umane presenti nell’ufficio preposto a tali attività nella considerazione che l’attivazione e la realizzazione dei progetti di accoglienza prevede una procedura amministrativa e contabile complessa oltre alla necessità di vigilare, collaborare, partecipare con gli Enti gestori del singolo progetto per conto del Comune”, dichiara Quinci. IL NODO DEI CORRIDOI UMANI (CONTINUA QUI LA LETTURA)
Il ruolo delle istituzioni e il nodo dei corridoi umanitari
Nella costruzione di un’Europa per tutti, le istituzioni locali e internazionali giocano un ruolo centrale. Burocrazia e contrasti sono un ostacolo, la sinergia è la soluzione. A tal proposito, è interessante citare il sindaco Orlando: “L’Europa gioca un ruolo di primo piano: lo scorso giugno a Palermo si è svolto il grande convegno internazionale ‘From Sea To The City’, che ha dato vita all’Alleanza Internazionale dei Porti Sicuri. Una rete di decine di città europee che vuole contribuire a costruire una casa europea fondata su una strategia globale di solidarietà, con una premessa fondamentale: proteggere la vita di ogni persona costretta a fuggire, sia per mare che per terra, e darle un’uguale possibilità di una procedura ordinata sotto lo Stato di diritto, secondo le regole comuni europee e sulla base del nostro comune canone europeo di valori”.
“La gestione dei flussi migratori va affrontata nei Paesi di origine con corridoi umanitari e preparazione dei territori ad accogliere”, aggiunge facendo riferimento alla difficile questione dei corridoi umanitari. Uno strumento complementare che – spiega Marta Bernardini di Mediterranean Hope – è una “via di accesso legale, sicura, pianificabile, fattibile a livello europeo” ma che non trova spesso applicazione in Europa.
“I corridoi umanitari sono troppo pochi e rari”, è il commento da Sea Eye, che conferma la necessità di agire in maniera diversa per trovare soluzioni certamente complesse, “ma non impossibili”.
“Abbiamo bisogno di sostegno a tutti i livelli, locale, nazionale e internazionale. Serve che l’UE cambi la sua politica generale, allontanandosi da questo sentimento anti-migrazione e procedendo verso una politica più accogliente e umana che protegga le persone in fuga o, per lo meno, non le lasci semplicemente morire o trascinarsi in un ritorno all’inferno”.
“Dobbiamo ricordare che siamo tutti umani e dobbiamo trattarci con rispetto. Se falliamo in questo, perdiamo la nostra umanità e questo non può essere l’obiettivo di un’Europa moderna e dei suoi cittadini”, è l’appello finale di Sea Eye nella speranza di non vedere più tragedie, né nel Mediterraneo né altrove.
Marianna Strano