L’odissea dei migranti, dall’inferno Mediterraneo all’accoglienza in Sicilia

L’odissea dei migranti, dall’inferno Mediterraneo all’accoglienza in Sicilia

Troppi migranti muoiono nel Mediterraneo e troppi rischiano la vita per la fuga. Su QdS.it un’analisi della situazione in mare e del “modello” siciliano ed europeo per l’accoglienza tra luci e ombre

Migranti in Sicilia: da dove provengono e quali rotte seguono?

L’etichetta “migranti” nasconde una complessità inaudita. Non tutte le persone riunite nello stesso barcone derivano dal medesimo luogo e hanno affrontato situazioni uguali. Sono tutti in fuga, ma alle spalle hanno esperienze e traumi diversi.

Chi arriva in Sicilia, in genere, proviene dall’Africa subsahariana, dall’Egitto, dal Nordafrica o perfino dal Bangladesh. Arrivano gruppi eterogenei che solitamente affrontano due rotte principali, che partono rispettivamente dalla Libia e dalla Tunisia.

“Il luogo di partenza non è più solo la Libia. È importante anche la rotta dalla Tunisia. Le persone che arrivano dalla Tunisia non sono tutte tunisine, ma vengono principalmente dall’Africa subsahariana. Anche dalla Libia arrivano persone di diverse nazionalità e il numero di arrivi dalla Libia, tra l’altro, è maggiore perché le imbarcazioni che attraversano il Mediterraneo da lì sono più grandi”, spiega Marta Bernardini.

L’apertura della rotta tunisina ha comportato una serie di cambiamenti da considerare nell’analisi delle migrazioni verso la Sicilia. “La rotta tunisina è meno nota, ma dall’estate scorsa l’arrivo di persone dalla Tunisia è diventato consistente (anche per l’instabilità nel Paese, ma non solo). È importante ricordare che le rotte negli anni si sono modificate in base anche alle politiche migratorie fatte dai Paesi europei. Negli anni abbiamo visto l’alternarsi di rotte, nazionalità, della composizione demografica: per esempio, dalla Tunisia arrivano minori non accompagnati e donne in maggior numero rispetto alla Libia. Vediamo arrivare molte famiglie dalla Tunisia e questo è un fattore di novità interessante rispetto ad altri anni”, afferma la coordinatrice di Mediterranean Hope.

Le emergenze umanitarie (in)visibili

Certe situazioni internazionali ottengono più attenzione di altre, è inevitabile. Prima la Libia, poi la Siria. Esistono però anche quelle che Marta Bernardini definisce le “frontiere dimenticate”, come la Bosnia e l’Afghanistan, al centro dell’attenzione per pochi momenti e poi finite nel dimenticatoio. Quelle rotte che forse non riguardano da vicino la Sicilia, ma che sono tutte di interesse collettivo.

“Ci sono molte aree di crisi nel mondo. A volte le persone in Europa dimenticano le tragedie che accadono lontano o si accorgono solo di quelle che prendono i riflettori nei media”, spiega Sea Eye, aggiungendo che “Abbiamo bisogno di riferire, pensare e agire in modo più globale. I cuori dell’Europa, invece, nel tempo sono diventati sempre più freddi, distanti e ignoranti”.

“Stiamo parlando di persone qui”. Persone la cui esistenza e i cui nomi vengono dimenticati quando l’attenzione mediatica si spegne. Di migranti e rifugiati si parla in termini quasi esclusivamente economici, escludendo i traumi, i segni visibili e non delle violenze subìte, il peso di continui respingimenti (solo in Libia, secondo i dati OIM citati da Marta Bernardini, il respingimento dalla cosiddetta Guardia Costiera Libica avviene nel 50% dei casi).

Accanto alla consapevolezza di essere quasi “invisibili” per molti, poi, per chi fugge dal proprio Paese d’origine ci sono anche il rischio da assumersi per migliorare la propria vita e il luogo percorso per inserirsi in una realtà nuova e talvolta ostile. OSPITALITÀ E INCLUSIONE: LA “RETE” DI PALERMO (CONTINUA LA LETTURA)

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