Il modello Transnistria consentirebbe all’Ucraina di non rinunciare ai suoi confini internazionalmente riconosciuti
La Transnistria è la regione che si trova a Est del fiume Dnestr, Nistro, in italiano, tra la Moldavia e l’Ucraina. In epoca sovietica fu scelta come insediamento per industrie pesanti e diventò meta di immigrati russi. Grazie alla diga costruita sul fiume Nistro, nei pressi della città di Dubassari, produceva il 90% dell’energia elettrica e il 40% del Pil della Moldavia.
Più ricca del resto del Paese e con una maggioranza di popolazione russa, la Transnistria si autoproclamò indipendente nel 1990. L’anno seguente anche la Moldavia, il cui territorio includeva la Transnistria, dichiarò la propria indipendenza e chiese al governo dell’Urss, ormai al collasso, di ritirare la 14^ armata che presidiava, e continua farlo, un grosso deposito di armi.
La guerra tra Moldavia e Transnistria si concluse nel 1992 con un cessate il fuoco, e la situazione non è più cambiata. I soldati russi sono ancora a Tiraspol, la capitale della Repubblica Moldava di Transnistria, che non è riconosciuta da nessun Paese. Una dogana tipo quelle che si vedevano nei film sulla guerra fredda divide le due parti del Paese, ma nonostante le tensioni Tiraspol produce energia elettrica anche per Chisinau, che utilizza operatori telefonici moldavi.
Un ibrido che potrebbe essere un modello per trovare una soluzione per le autoproclamate Repubbliche di Donetsk e Luhansk, così come per gli altri territori occupati dalla Russia nel Donbass. La strategia di Washington in questi tre anni di guerra ha puntato più al contenimento dell’avanzata russa, che alla riconquista dei territori persi. Il ritiro dell’appoggio a Kiev da parte dell’Amministrazione Trump mira a congelare il conflitto imponendo una presenza americana a lungo termine giustificata dall’accordo sulle terre rare.
Il modello Transnistria consentirebbe all’Ucraina di non rinunciare ai suoi confini internazionalmente riconosciuti, anche se la Russia continuasse ad averne il controllo di fatto e all’Europa di occuparsi della ricostruzione.