ROMA – Circa un milione di vittime nel conflitto tra Russia e Ucraina; 56 mila morti nel conflitto di Gaza. Sono questi i numeri, seppur non ufficiali, delle due guerre che stanno distruggendo Europa e Medio Oriente. Due conflitti che a livello globale si sta cercando di concludere per via diplomatica, ma nonostante vertici ufficiali, riunioni internazionali, cene e pasti di vario genere stanno continuando a lasciare sul campo, ogni giorno, decine di morti. Senza dimenticare le notizie che si susseguono, dalla Polonia a Qatar, tutt’altro che rassicuranti.
E allora viene da porsi una domanda molto semplice ma allo stesso tempo scomoda: se tutti questi incontri non sono serviti a nulla, se tutte le iniziative di pace si sono regolarmente e tragicamente concluse in una bolla di sapone, se tutti gli appelli lanciati in tal senso, tra cui quelli “altissimi” di Papa Francesco prima e di Papa Leone XIV dopo sono rimasti inascoltati c’è davvero la volontà di far tacere le armi? Sembra quasi che continuare a mantenere questo status quo e sparare, esplodere e uccidere, per qualcuno, possa essere preferibile.
Non ci si sta muovendo con la determinazione necessaria
Il dubbio che non ci si stia muovendo con la determinazione necessaria è stato sollevato anche dal già citato Papa Prevost, che in occasione dell’udienza al Consiglio dei giovani del Mediterraneo ha sottolineato come la pace “sul tavolo dei leader delle nazioni è oggetto di discussioni globali ed è purtroppo spesso ridotta a slogan”.
“Dio – ha aggiunto domenica scorsa in occasione dell’Angelus in piazza San Pietro – non vuole la guerra, Dio vuole la pace. All’intercessione dei santi e della Vergine Maria affidiamo la nostra incessante preghiera per la pace, specialmente in Terra Santa e in Ucraina e in ogni altra terra insanguinata dalla guerra. Ai governanti ripeto: ascoltate la voce della coscienza. Le apparenti vittorie ottenute con le armi seminando morte e distruzione sono in realtà delle sconfitte e non portano mai a pace e sicurezza. Dio sostiene chi si impegna a uscire dalla spirale dell’odio e a percorrere la via del dialogo”.
Questa “via del dialogo” sembra non piacere
Ma questa “via del dialogo” sembra non piacere. Anche perché meno remunerativa della guerra. A supportare questa affermazione vi sono gli ultimi numeri sulla spesa militare mondiale diffusi di recente dallo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), che ha raggiunto i 2.718 miliardi di dollari nel 2024, con un aumento del 9,4% in termini reali rispetto all’anno precedente. Parliamo, giusto per capirci, del più elevato incremento annuo dalla fine della Guerra Fredda, in un quadro che vedeva già un incremento per il decimo anno consecutivo.
Le spese per la Difesa sono cresciute in tutte le regioni del mondo
Come analizzato dal Sipri le spese per la Difesa sono cresciute in tutte le regioni del mondo ma soprattutto in Europa e Medio Oriente, dove sono presenti i conflitti di Ucraina e Gaza. In Africa, invece, i costi hanno raggiunto i 52,1 miliardi di dollari nel 2024, con un aumento del 3% rispetto al 2023 e dell’11% sul 2015. Sono oltre cento i Paesi che hanno aumentato i loro bilanci per la difesa e tale voce è destinata a crescere ancora, come annunciato, per esempio, dall’Unione Europea e dall’Italia, pronta a incrementare la percentuale di Pil destinata a tale scopo.
Stati Uniti, Cina, Russia, Germania e India i Paesi dove la spesa è aumentata di più
In testa alla classifica del rapporto “Trends in world military expenditures 2024” redatto dal Sipri vi sono Stati Uniti, Cina, Russia, Germania e India che insieme rappresentano il 60% della spesa mondiale con 1.635 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti guidano la classifica con 997 miliardi (+5,7% rispetto al 2023), pari al 37% della spesa globale e al 66% di quella dei Paesi Nato. La Cina ha speso 314 miliardi di dollari (+7%), ovvero la metà della spesa militare in Asia e Oceania. Al terzo posto la Russia, che nel 2024 ha speso 149 miliardi di dollari per le sue forze armate, con un aumento del 38% rispetto all’anno precedente e il doppio rispetto al 2015. Stiamo parlando del 19% dell’intera spesa pubblica russa. Vi è poi la Germania, che ha aumentato le spese per la Difesa del 28%, raggiungendo gli 88,5 miliardi di dollari, superando l’India al quarto posto, ferma a 86,1 miliardi, seguita da Gran Bretagna (+ 2,8%) con 81,8 miliardi, Arabia Saudita (80,3 miliardi con un più 1,5%) e Francia (+6,1%) e Ucraina con 64,7 miliardi. Kiev ha aumentato la spesa militare del 2,9%, raggiungendo il 34% del suo Prodotto interno lordo. Ancora più indietro si trova il Giappone con 55,3 miliardi mentre l’Italia e Polonia si assestano a 38 miliardi precedute da Corea del Sud (47,6 miliardi di dollari) e Israele con 46,5.
L’Europa, Russia inclusa, è la regione che ha speso di più con 693 miliardi di dollari per un incremento del 17 per cento. La stessa tendenza si riscontra anche in Medio Oriente, dove Israele ha visto aumentare le spese militari del 65%, raggiungendo i 46,5 miliardi di dollari. Con l’8,8% del Pil dedicato alle spese militari è secondo solo all’Ucraina.
L’industria bellica mondiale si sta espandendo in un modo mai visto prima
Così nel mondo c’è chi muore e chi diventa sempre più ricco. Secondo quanto riportato di recente dal Financial Times, infatti, l’industria bellica mondiale si sta espandendo in un modo mai visto prima, tanto che le fabbriche si fanno sempre più grandi e numerose. Il quotidiano economico-finanziario britannico ha infatti analizzato dati satellitari su 150 impianti di 37 aziende europee, scoprendo che le aree in ampliamento o costruzione sono passate da 790 mila metri quadrati nel 2020-2021 a 2,8 milioni nel 2024-2025. Gli scatti hanno documentato scavi pre-costruzione, nuovi edifici, strade e altre infrastrutture a supporto della produzione. Tra i cantieri più imponenti c’è quello di Varpalota, in Ungheria, dove Rheinmetall e la società di difesa statale ungherese stanno realizzando un gigantesco polo pensato per munizioni ed esplosivi.
In Italia i produttori di armi non se la passano male
Anche in Italia i produttori di armi non se la passano male. A testimoniarlo sono i risultati di un’indagine di Greenpeace intitolata Profitti di guerra, che ha messo in luce l’aumento significativo dal 2021 al 2023 degli utili e delle risorse finanziarie delle principali aziende italiane che esportano armamenti dal nostro Paese, a partire dal gruppo Leonardo.
Secondo lo studio, che ha analizzato i bilanci del 2023 confrontandoli con quelli del 2021, gli utili netti delle prime dieci aziende italiane esportatrici di armi sono cresciuti del 45%, pari a un incremento di 326 milioni di euro. “Ancora più sorprendente – hanno evidenziato dall’associazione – è il balzo del flusso di cassa disponibile, aumentato del 175%, equivalente a 428 milioni di euro. Oltre agli utili, anche i ricavi complessivi delle aziende del settore sono cresciuti in maniera evidente: nel 2023 si è registrato un aumento di 2,1 miliardi di euro, un incremento del 13% rispetto al 2021. I profitti di queste aziende hanno beneficiato sia della crescita dell’export di armamenti dall’Italia, sia della forte crescita della spesa nazionale italiana per le armi”.
“Un ruolo centrale in questa crescita – viene evidenziato dallo studio di Greenpeace – è svolto dal gruppo Leonardo, il colosso italiano dell’industria della difesa. Ex Finmeccanica, Leonardo ha visto i suoi ordinativi aumentare del 22% tra la fine del 2021 e il primo semestre del 2024, raggiungendo la cifra record di 43,35 miliardi di euro. L’azienda, il cui maggior azionista è il ministero dell’Economia con il 30% delle azioni, è uno dei principali beneficiari della corsa al riarmo che i Paesi occidentali hanno avviato in risposta all’invasione russa dell’Ucraina, e alla crescita della domanda globale di armamenti”.
Chi è che vuole veramente la pace?
Torniamo quindi alla domanda iniziale. Analizzato questo scenario, chi è che vuole veramente la pace? Di fronte alla tensione crescente che si sta accumulando a livello globale e ai blandi tentativi diplomatici finora messi in campo, la risposta sembra quasi spontanea: di certo non a chi continua ad arricchirsi producendo e vendendo armi. Ma il monito è sempre lo stesso: a volte, scherzando con il fuoco, il pericolo è quello di restare bruciati.

