Sento molte persone che continuano ad auspicare il momento in cui andranno in pensione, perché si vogliono liberare dal lavoro come fosse una cappa pesante che li ha asfissiati per tutta la vita.
Non esprimo alcuna valutazione nei confronti di chi la pensa così, perché è liberissimo di farlo. Tuttavia non posso evitare di considerare che chi ha lavorato senza amare il proprio lavoro, di fatto, si è trovato in una condizione spiacevole. Non si può trascorrere una parte cospicua della propria vita considerandola una sorta di punizione, perché ne consegue un’afflizione che dà una qualità negativa alla vita stessa.
Vero è che non sempre si può avere la fortuna di fare un lavoro che si ama, ma come in ogni attività ve n’è sempre una parte piacevole e una spiacevole. Si tratta di individuare le due parti e tenere conto di quella migliore rispetto all’altra peggiore.
La questione non sembri di lana caprina, perché è il cuore dell’esistenza di ogni vivente.
Le persone che pensano in modo negativo, che vedono tutto nero, vivono nel mondo delle ombre. Il loro pessimismo li rende poveri di spirito, perché non si può stare sempre sulla difensiva. C’è sempre il momento in cui bisogna attaccare, conoscendo il vecchio slogan che “la miglior difesa è l’attacco”.
Che senso ha correre verso la pensione per poi non fare nulla e “conquistare la tranquillità”?
Chi la pensa così non rammenta che dopo un certo periodo di tempo, breve o lungo, conquisterà la tranquillità eterna. Ci chiediamo che senso abbia correre verso di essa, auspicando tranquillità nella vita terrena, quando invece vivere significa agire intensamente, anche alternando periodi molto impegnati con altri di ozio, che può essere anche creativo.
Qualcuno obietterà che è necessario riposarsi. Concordiamo, perché il riposo è una parte fisiologica del nostro vivere e del nostro essere. Ma di riposo si può morire, mentre di attività si vive e si vive meglio.
Fermo restando che ognuno spende come vuole il tempo che gli ha assegnato il caso, dal momento in cui vede la luce al momento in cui il corpo si spegne. La questione verte su come utilizzare questo tempo.
C’è chi di noi intende vivere facendo, facendo molto, facendo bene. E c’è chi invece trascorre il suo tempo bighellonando senza realizzare ancunché. Ma poi, vedi caso, quelli che vivono in tal modo, si lamentano di essere sfortunati, di non avere risorse, di litigare con gli amici e tante altre circostanze negative. Come se ognuno avesse il diritto di ricevere e non di dare.
Questa è la questione di fondo: la capacità di pensare che nessuno è destinatario di qualunque cosa senza prima essersi attivato per fare. In altri termini, poche sono le persone che hanno con chiarezza la visione del rapporto che si deve avere con gli altri: prima dare e poi chiedere per ricevere. Prima il dovere e poi il diritto.
Ma tutti siamo testimoni di come i mezzi di comunicazione di ogni tipo, compresi i media sociali, continuano a trasferire le voci di questi e di quelli che reclamano diritti. Mai uno che dica quale sia il proprio dovere, dopo di che può reclamare un diritto.
Il peggio della questione prospettata è che chi ha responsabilità di gestire e amministrare un Popolo, non essendo dotato di sufficiente cultura e competenza e ascoltando esclusivamente i sondaggi giornalieri, va incontro a tutte le voci più strambe che reclamano i diritti e non ricorda a costoro che prima devono fare il loro dovere.
Quello che scriviamo sembra una litania, perfino ripetitiva e noiosa. Ma non c’è altro rimedio per mettere a posto, cioè in equilibrio, il rapporto fra doveri e diritti. Il rapporto che chi vuole prendere, prima deve dare.
Ci riferiamo anche alla cialtroneria partitocratica che ha preso il sopravvento sulle istituzioni e che costituisce un pessimo esempio per i cittadini, soprattutto quelli più giovani.
Non c’è soltanto la tranquillità dei viventi, ma il benessere conseguente alla consapevolezza di aver fatto quello che andava fatto, anche in senso sociale e a favore di terzi, fra i quali i deboli e i bisognosi.
Questo comportamento dà tranquillità. Non bighellonare sotto gli alberi o trascorrere le ore nelle taverne a chiacchierare o giocare a carte.

