Mottarone, anche un solo freno avrebbe evitato il disastro - QdS

Mottarone, anche un solo freno avrebbe evitato il disastro

Mottarone, anche un solo freno avrebbe evitato il disastro

lunedì 31 Maggio 2021

Un operaio ha confermato al Gip che i "forchettoni" vengono posizionati su disposizione del caposervizio, ossia Tadini. Lo sfogo del gestore, "mai risparmiato sulla sicurezza". Ma la Procura indaga

Sarebbe bastato anche che si fosse attivato uno solo dei due freni di emergenza a disposizione per far bloccare la cabina, che invece è volata via quando la fune traente si è spezzata.
E’ quanto ha spiegato uno dei dipendenti sentiti a verbale nei giorni scorsi nell’inchiesta sulla tragedia del Mottarone.

“In particolare ci sono due freni di emergenza per ogni cabina”, ha spiegato il teste. E gli inquirenti gli hanno chiesto: “Seconda la sua esperienza la cabina si sarebbe fermata qualora fosse entrato in funzione un solo freno di emergenza?”. E il dipendente: “Per la velocità della vettura durante la fase di rientro, un solo freno avrebbe potuto bloccare la cabina” evitando il disastro che ha causato quattordici morti.

Sui freni di emergenza, invece, erano stati collocati i forchettoni che tenevano aperte le ganasce e li bloccavano.

“I ceppi o forchettoni – ha chiarito ancora il teste – vengono posizionati su disposizione del caposervizio che o lo fa personalmente o lo delega a uno degli operatori in maniera indistinta”.

Il caposervizio è Gabriele Tadini che, spiega ancora il teste, non ha un “sostituto”, perché il suo vice “è andato in pensione” nello scorso gennaio.

Intanto Luigi Nerini, il gestore della funivia, ha ribadito ciò che ripeteva in carcere: “Non ho mai risparmiato sulla sicurezza, pago 127mila euro all’anno per la manutenzione”.

E la gip Donatella Banci Buonamici, scarcerandolo, ha riconosciuto che mancavano “totalmente” indizi a suo carico e soprattutto che non avrebbe avuto alcun interesse “economico” ad avallare la “prassi” di disattivare il freno d’emergenza per mandare avanti la funivia del Mottarone, anche perché la stagione doveva di fatto ancora iniziare.

Così Nerini ha confidato alle persone più vicine che spera che adesso le “responsabilità vengano individuate correttamente”. Un pensiero che lo accomuna a un altro dei tre fermati che ha potuto riabbracciare i suoi familiari dopo quattro giorni passati nel carcere di Verbania e a una settimana dallo sconvolgente incidente.

“Sono contento di essere tornato libero, ma sono disperato per le vittime”, ha raccontato Enrico Perocchio, direttore di esercizio della funivia, dipendente della Leitner, società a cui Nerini versava da contratto quei quasi centotrentamila euro all’anno.

Perocchio che, come emerge da diverse testimonianze agli atti, aveva avuto pure qualche dissapore con il titolare della funivia. Tanto più che Nerini, davanti al gip ieri, ha indicato come soggetti “responsabili della sicurezza” proprio lui e Gabriele Tadini, il caposervizio che ha confessato l’uso dei “ceppi” che hanno impedito al freno di scattare sul cavo portante, quando la fune traente si è spezzata facendo volare via la cabina.

Loro due, ha detto, si dovevano occupare di “manutenzioni” sulla base di un decreto legislativo su cui ha puntato la difesa, in un interrogatorio in cui non sono mancate frizioni.

Non spetta all’imprenditore, che deve occuparsi “degli affari della società”.

La Procura, però, nella richiesta di custodia cautelare in carcere aveva evidenziato come anche in un’altra “attrazione” in cima al Mottarone, una pista su rotaia, la Alpyland, sempre gestita da Nerini, si siano verificati due incidenti che hanno provocato “lesioni”.

L’attenzione degli inquirenti sarebbe concentrata anche su presunte irregolarità fiscali, vale a dire migliaia di ingressi senza battere gli scontrini.

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